contratti pubblico impiego 80 euroArriva la «bollinatura» del ministero dell’Economia sulla direttiva madre di Funzione pubblica che fa ripartire ufficialmente le trattative sul pubblico impiego. Il nodo più intricato è quello degli 80 euro.


 

Secondo la direttiva gli oneri posti a carico del bilancio dello Stato per la contrattazione collettiva relativa al triennio 2016-2018 e per i miglioramenti economici del personale dipendente dalle amministrazioni statali in regime di diritto pubblico ammontano, complessivamente, a legislazione vigente, a 300 milioni di euro per l’anno 2016, 900 milioni di euro per l’anno 2017 e 1.200 milioni di euro a decorrere dal 2018, comprensivi degli oneri contributivi ai fini previdenziali e dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

 

La criticità tuttavia è relativa al fatto che i nuovi contratti, in base all’intesa fra governo e sindacati del 30 novembre scorso, dovrebbero garantire aumenti medi da 85 euro lordi mensili, quindi da 1.105 euro su base annua (13 mensilità). Lo stesso accordo di novembre, però, prevedeva di «evitare penalizzazioni indirette prodotte dagli aumenti contrattuali» sul bonus da 80 euro.

 

 

Nella direttiva invece, è riportato letteralmente:

 

Il complessivo quadro delle risorse finalizzate al rinnovo dei contratti di lavoro sin qui descritto dovrà essere completato attraverso la previsione, nella prossima legge di bilancio, della quota di · stanziamento ancora occorrente per dare attuazione ai contenuti dell’intesa del 30 novembre 2016. Gli impegni sottoscritti rimangono così subordinati al reperimento delle ulteriori risorse finanziarie necessane. Le parti valuteranno, peraltro, gli effetti che l’aumento retributivo concordato potrà produrre in relazione ai trattamenti stipendiali del personale collocato nei livelli retributivi più bassi già destinatario di recenti provvedimenti di giustizia sociale, suggerendo – qualora necessario e nei limiti delle risorse destinate all’obiettivo di incremento contrattuale – eventuali misure correttive.

 

Quest’ultima è la clausola decisiva, perché impone in pratica di sottrarre agli «85 euro medi» tutti i soldi da dirottare alla sterilizzazione degli effetti collaterali sul bonus. Il problema riguarda tutti i rinnovi contrattuali ma è particolarmente sentito nel pubblico impiego perché molti stipendi pubblici si collocano nella fascia fra 24mila e 26mila euro, cioè nello scarto che diminuisce il bonus all’aumentare del reddito.

 

In allegato all’articolo la Direttiva e il testo dell’Intesa tra Governo e Sindacati.