Approfondimento in materia di responsabilità aquiliana da provvedimento amministrativo illegittimo e di risarcimento del danno invocato in conseguenza della lesione di situazioni soggettive aventi la consistenza dell’interesse legittimo pretensivo.
La quarta sezione del Consiglio di Stato con Sentenza n. 3127 dell’11 aprile 2025, torna a ribadire che questo è subordinato all’accertamento della spettanza del bene della vita, secondo un giudizio probatorio basato sulla regola del “più probabile che non”.
L’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, infatti, non determina ex se l’automatico diritto al risarcimento del danno se il richiedente “non prova la spettanza del c.d. bene della vita, vale a dire dell’utilità finale cui lo stesso aspira”. Questo perché, ai fini della dichiarazione di sussistenza di una presunta responsabilità aquiliana, non è sufficiente il mero accertamento di illegittimità dell’atto amministrativo impugnato. Ma è necessario, infatti, provare, unitamente al nesso causale, anche la sussistenza del danno e la colpa della Pubblica Amministrazione.
Il caso
Il giudizio in esame ha ad oggetto la domanda di condanna di un Comune al risarcimento del danno derivante dall’annullamento, disposto con sentenza del Consiglio di Stato, n. 2310 del 7 aprile 2020, di una Delibera del Consiglio Comunale risalente al 2003. La sentenza concerne il diniego di un’istanza di concessione edilizia in deroga agli strumenti urbanistici allora vigenti. I ricorrenti erano i proprietari di una struttura alberghiera interessata da un progetto di ristrutturazione e ampliamento.
Con la Deliberazione in questione, infatti, il Consiglio Comunale aveva respinto l’istanza adducendo come motivazione la necessità della previa redazione di un piano attuativo, a fronte dell’urbanizzazione anche solo parziale dell’area interessata.
All’esito del ricorso di primo grado proposto dai proprietari alberghieri dinnanzi al TAR per la Lombardia avverso la Deliberazione in parola, nel 2008 il medesimo veniva respinto con sentenza successivamente appellata. La seconda sezione del Consiglio di Stato, quindi, con sentenza del 7 aprile 2020, n. 2310, pronunciandosi sulla legittimità della delibera di cui si discute, ribaltava la decisione del giudice prime cure accogliendo l’appello e ritenendo:
“nel caso di specie non necessaria la vigenza del piano attuativo ai fini del rilascio del titolo abilitativo”.
Profili oggettivi e soggettivi dell’illecito extracontrattuale
In conseguenza dell’annullamento gli appellanti instauravano innanzi al TAR per la Lombardia il giudizio risarcitorio per danno ingiusto da lesione di interesse legittimo, ex articolo 2043 c.c.. A sostegno della pretesa, proponevano alcuni elementi a riprova del ricorrere degli elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale, sia in ordine ai profili oggettivi che soggettivi.
Profili oggettivi
Quanto ai primi, ci si riferisce sia al nesso di causalità materiale tra il fatto dannoso e il danno che al c.d. danno ingiusto. Giova ricordare che, per quanto concerne la responsabilità extracontrattuale o aquiliana di cui all’art.2043 c.c. rubricato “risarcimento per fatto illecito”:“qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga chi ha commesso il fatto al risarcimento del danno”.
Questa responsabilità, dunque, trae origine da un generico neminem laedere, espressione con la quale si enuncia un fondamentale principio a tenore del quale tutti sono tenuti al dovere di non ledere l’altrui sfera giuridica. Tale dovere, appunto, è posto alla base della responsabilità extracontrattuale e, la sua inosservanza, comporta l’obbligo al risarcimento del danno ai sensi e per gli effetti del richiamato art. 2043 c.c..
Profili soggettivi
Quanto ai profili soggettivi, invece, ci si riferisce al dolo o alla colpa del danneggiante.
Il danno ingiusto, nel caso in esame, veniva invocato a fronte dell’attività illegittima (fatto dannoso) posta in essere dal Comune, per effetto del diniego di rilascio della concessione edilizia in deroga poi annullato con sentenza del Consiglio di Stato passata in giudicato. Ovvero dal mancato rilascio della concessione edilizia in deroga che non avrebbe permesso di dare attuazione all’intervento di ristrutturazione ed ampliamento dell’albergo nonostante l’approvazione del progetto da parte del Consiglio comunale fosse atto dovuto in conseguenza del giudicato.
Sulla sussistenza dell’elemento soggettivo, gli appellanti evidenziavano in prima istanza che il diniego assunto dall’amministrazione comunale con la delibera del Consiglio del 2003 si poneva in palese contrasto con precedenti delibere assunte dal Consiglio comunale (nel 1995 e nel 1999) che avevano approvato il progetto dell’albergo e nelle quali il Comune aveva riconosciuto la valenza positiva dell’intervento degli albergatori a beneficio dell’intera collettività. Inoltre, a mezzo dell’adozione di diverse varianti apportate al Piano Regolatore Generale e successivamente dichiarate illegittime, secondo gli appellanti, il Comune avrebbe cercato in ogni modo di impedire l’esecuzione del progetto di ampliamento dell’albergo che, come anzidetto, avrebbe portato benefici anche alla collettività. Ciò trovava, secondo gli albergatori, riscontro nella stessa sentenza n. 2310 del 2020 a mente della quale erano presenti notevoli contraddizioni nel provvedimento amministrativo, tali da minarne da logicità intrinseca ed estrinseca.
La quantificazione del danno
Infine, in ordine alla quantificazione del danno, gli appellanti chiedevano una somma complessiva per danno emergente e lucro cessante pari a euro € 8.648.109,75 oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
Con sentenza 2569 del 18 novembre 2022, il TAR Lombardia respingeva il ricorso adducendo quale motivazione la mancata comprovata spettanza del bene della vita.
La decisione del Consiglio di Stato in ordine alla risarcibilità del danno
Gli albergatori appellavano nuovamente la sentenza del giudice di prime cure censurando la ritenuta insussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità sotto il profilo oggettivo del Comune resistente. E anche la contestazione da parte del TAR Lombarda in relazione alla spettanza del bene della vita e della conseguente tutela risarcitoria. Questo sulla base della sentenza del Consiglio di Stato del 2020 che, invece, aveva accertato sia la “bontà del progetto congruo agli standard urbanistici e migliorativo del tessuto urbano”, sia il fatto che “non fosse necessaria alcuna deroga, con la conseguente illegittimità del diniego comunale opposto”.
Stante la pronuncia del Consiglio di Stato che aveva ritenuto irrilevante il piano attuativo in ragione dello stato di urbanizzazione dei luoghi, infatti, secondo l’appellante spettava senza alcun dubbio il “bene della vita” da intendersi quale il rilascio della concessione edilizia richiesta. In particolare:
- Le soprarichiamate delibere approvate dal Comune negli anni ’90, avrebbero altresì creato una posizione di legittimo affidamento nei confronti degli appellanti.
- Sul piano soggettivo, nuovamente, gli istanti insistevano nel contestare il contrasto tra le delibere degli anni ’90 con quella del 2003 mentre, in ordine all’esclusione del danno ingiusto risarcibile sia sul profilo del danno emergente che del lucro cessante nonché della relativa quantificazione del danno subito, parte appellante asseriva che all’esito dell’annullamento della deliberazione del 2003, il rilascio del titolo costituiva un atto dovuto e vincolante reiterando, pertanto, gli argomenti a sostegno della pretesa risarcitoria avanzata nel giudizio di primo grado.
- Inoltre, il mancato ampliamento dell’attività alberghiera per effetto del diniego illegittimo, con la conseguente perdita guadagno, aveva causato una significativa lesione economica sia a titolo di danno emergente che di lucro cessante e, pertanto, secondo parte appellante, il danno non poteva che essere diretta conseguenza della delibera in argomento.
Interesse oppositivo o pretensivo
Nel giudicare l’appello infondato, i giudici di Palazzo Spada preliminarmente osservano che:
“La tecnica di accertamento della lesione varia a seconda della natura dell’interesse legittimo nel senso che, se l’interesse è oppositivo, occorre accertare che l’illegittima attività dell’Amministrazione abbia leso l’interesse alla conservazione di un bene o di una situazione di vantaggio. Mentre, se l’interesse è pretensivo, concretandosi la sua lesione nel diniego o nella ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo, occorre valutare a mezzo di un giudizio prognostico, da condurre in base alla normativa applicabile, la fondatezza o meno della richiesta di parte, al fine di stabilire se la medesima fosse titolare o meno di una situazione giuridica meritevole di protezione, secondo il cd. giudizio di spettanza”.
Sul punto, in particolare, già con sentenza del 1° dicembre 2020 n. 7622, la sezione quarta del Consiglio di Stato aveva ribadito che, in primis, rispetto agli interessi pretensivi è necessario stabilire se:
“il pretendente sia titolare di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, in base a un criterio di normalità, ad un esito favorevole”.
Da questo assunto ne deriva che, segnatamente, l’obbligazione risarcitoria trova la sua ragion d’essere proprio:
“nella verifica della sostanziale spettanza del bene della vita ed implica un giudizio prognostico in relazione al se, a seguito del corretto agire dell’amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente o probabilmente (cioè, secondo il canone del “più probabile che non”) spettato al titolare dell’interesse. Cosicché, ove il giudizio si concluda con la valutazione della sua spettanza, certa o probabile, il danno, in presenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito, può essere risarcito, rispettivamente, per intero o sotto forma di perdita di chance”.
Necessità della prova della sussistenza del danno
Nel caso in esame, trattasi di interesse pretensivo, sostiene il Consiglio di Stato richiamando la consolidata giurisprudenza amministrativa che, in materia di responsabilità aquiliana della Pubblica Amministrazione da provvedimento amministrativo illegittimo. Dunque l’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento amministrativo non determina ex se l’automatico diritto al risarcimento del danno se il richiedente “non prova la spettanza del c.d. bene della vita, vale a dire dell’utilità finale cui lo stesso aspira”. Questo perché, ai fini della dichiarazione di sussistenza di una presunta responsabilità aquiliana, non è sufficiente il mero accertamento di illegittimità dell’atto amministrativo impugnato, ma è necessario provare, unitamente al nesso causale, anche la sussistenza del danno e la colpa della Pubblica Amministrazione.
Inoltre, poiché come anzidetto il risarcimento del danno conseguente alla lesione di situazioni soggettive aventi la consistenza dell’interesse legittimo pretensivo è subordinato al criterio di spettanza del bene della vita secondo un giudizio probatorio basato sulla regola del “più probabile che non” è altresì necessario, giusta Cass. Civ., Sezione III, n. 25805 del 26 settembre 2024 “ritenere provata la causa di un evento quando quella causa è più probabile di una causa diversa o di una causa contraria”.
Ne consegue che, laddove la lesione derivi da una illegittimità provvedimentale accertata solo sul piano dei vizi non sostanziali:
“Il danno può essere riconosciuto soltanto all’esito della riedizione dell’azione amministrativa (correlata all’effetto conformativo del giudicato o, più correttamente, dell’annullamento, che opera, sul piano giuridico, eliminando l’atto che, con la sua adozione, aveva estinto l’obbligo di provvedere sulla istanza privata e riattivando, con ciò, l’obbligo di riprovvedere ex art. 2, della legge n. 241 del 1990): ciò perché solo all’esito del satisfattivo riesercizio del potere potrà dirsi accertata la spettanza del bene della vita (cfr Cons. Stato, sez. V, 19/08/2019, n. 5737)”.
La sentenza n. 2310 del 2020: conclusioni
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2310 del 2020, ha annullato il diniego di concessione edilizia in deroga, per motivi che consentivano il riersercizio del potere, per avere imposto al privato l’adozione di un piano attuativo. Al di fuori del piano attuativo non dovuto per l’effetto conformativo veicolato dalla richiamata sentenza, tuttavia, sono rimaste ferme, poiché non costituenti petitum:
“le ulteriori verifiche istruttorie relative al rilascio del titolo edilizio, ovvero alla realizzabilità in concreto dell’intervento, da valutarsi alla stregua dei restanti profili edilizi da rimuovere, pareri degli enti […] nonché di compatibilità diversi dagli aspetti strettamente urbanistici […] Adempimenti, questi, che non consentivano di ritenere certo – secondo il giudizio prognostico del più probabile che non – l’esito favorevole del procedimento”.
Il Comune, in altre parole, una volta emendato il procedimento dai vizi riscontrati dalla sentenza n. 2310 del 2020, avrebbe dovuto riesercitare il proprio potere. Questo ferma restando la verifica tecnico-discrezionale in ordine alla sussistenza di tutti gli altri presupposti richiesti dalla normativa di riferimento per il rilascio in concreto del titolo edilizio.
L’annullamento giurisdizionale della delibera del 2003 non aveva, infatti, svincolato il progetto dalle eventuali successive ed ulteriori attività istruttorie da parte del Comune e, men che mai, conformato la riedizione del potere vincolandolo a un esito scontato. Non sussisteva infatti alcun vincolo conformativo, veicolato dalla decisione, idoneo a rendere consequenziale all’annullamento giurisdizionale della delibera il rilascio del permesso di costruire.
Ne consegue l’impossibilità di concludere che il rilascio del permesso di costruire in deroga sarebbe stato possibile alla stregua del giudizio prognostico del più probabile che non, confermando l’infondatezza delle censure proposte da parte appellante, anche rispetto a quanto asserito in ordine al contenuto delle delibere del 1995 e del 1999 e dell’esistenza di affidamento ingenerato dai suddetti provvedimenti, che sarebbe stato leso dal mancato rilascio del titolo.