Dopo tanti studi che hanno cercato di quantificare la plastica che circola nei vortici oceanici, una ricerca recentemente diffusa ha calcolato il peso dei rifiuti plastici che dalla fascia costiera di tutto il mondo finiscono ogni anno nei mari, dilatando notevolmente le stime finora fatte.
Negli ultimi anni sono aumentate le preoccupazioni per le plastiche nei mari e negli oceani, e con esse sono cresciuti gli studi e le ricerche per stimarne le quantità e i danni che provocano agli ecosistemi marini.
Ora, un recente Studio presentato il 12 febbraio 2015 nel corso dell’Annuale Convegno dell’American Association for Advanced of Science (AAAS) tenutosi a San Jose (Ca), e pubblicato poi sulla rivista Science, ha quantificato la quantità di plastica che ogni anno finisce nei mari.
Secondo gli autori di “Plastic waste inputs from land into the ocean”, un gruppo eterogeneo di ricercatori – oceanografi, ecologi marini, esperti di rifiuti solidi, ecologisti industriali, chimici e ingegneri di polimeri – di varie Università e Istituti statunitensi che hanno condotto l’indagine per quasi 4 anni, la quantità media annua di plastica finita in mare nel 2010 (anno preso a campione) sarebbe di 8 milioni di tonnellate, media tra i 3 scenari considerati.
“Si tratta dell’equivalente di cinque sacchetti di plastica per la spesa pieni per ogni piede di costa nel mondo – ha affermato Jenna R. Jambeck, Professoressa di Ingegneria Ambientale presso l’Università della Georgia e principale autrice dello Studio – Questa situazione potrebbe peggiorare, se consideriamo un atteggiamento business as usual e l’aumento della popolazione prevista è possibile che questo numero aumenti fino a 17,5 milioni le tonnellate di plastiche all’anno che nel 2025 finiranno nei mari”.
Si tratta di una quantità stimata tra le 20 e le 2.000 volte superiore alla massa di plastica che si crede stia galleggiando sulla superficie dei mari a livello globale, e il calcolo non tiene conto delle altri fonti derivanti dalle attività di pesca e acquicoltura, della perdita dai traffici marittimi e da quelli che derivano in mare dopo tsunami, uragani e inondazioni.
“La nostra stima nello scenario più ottimista è equivalente alla quantità di tonno che viene pescata ogni anno – ha aggiunto Kara Lavender Law, Professore di Ricerca oceanografica e marina alWoods Hole Institute (Ma) e co-autrice dello Studio – Si potrebbe dire che stiamo tirando fuori dai mari il tonno e vi immettiamo plastica”.
La metodologia dello studio si è basata sui tassi di produzione dei rifiuti dei 192 Paesi che hanno una linea di costa. Stante il fatto che sono le attività delle persone che vivono sulla costa a generare la maggior parte della plastica che finisce in mare, l’analisi è stata effettuata su una fascia di 50 km dalla costa. Si è proceduto, quindi, a verificare qual era la percentuale di plastica di tali rifiuti e quale percentuale non veniva adeguatamente gestita, considerando che le dimensioni della popolazione e la qualità dei sistemi di gestione influisce sulla quantità di rifiuti plastici che finiscono in mare.
Si è così calcolato che nel 2010 i 192 Paesi abbiano prodotto 275 milioni di tonnellate di rifiuti plastici e 99,5 milioni di tonnellate sono state prodotte dai due miliardi di individui che si affacciano sulla fascia costiera di 50 km di profondità, circa un terzo di questi sono mal gestiti e, quindi, a seconda degli scenari, sono finiti in mare dai 4,8 milioni di tonnellate ai 12,7 milioni.
Lo studio ha stilato anche una classifica degli Stati che contribuiscono di più all’immissione di plastica in mare: in testa c’è la Cina, con 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, pari al 28% del totale mondiale, mentre gli USA si pongono al 20° posto, il primo dei Paesi occidentali, con 77.000 tonnellate ovvero meno dell’1% tonnellate. Gli altri grandi inquinatori di plastica negli oceani sono, Indonesia, Filippine, Vietnam e Sri Lanka, Paesi in rapido sviluppo che stanno denunciando gravi difficoltà nella gestione dei rifiuti.
L’Unione europea viene considerata in blocco, e si colloca al 18° posto.
Secondo i ricercatori, i Paesi ricchi dovrebbero ridurre i consumi di prodotti monouso, di oggetti in plastica usa e getta, come gli shopper, mentre i Paesi in via di sviluppo dovrebbero migliorare le loro pratiche di gestione dei rifiuti.
“Bisogna impedire l’ingresso della plastica in mare – ha aggiunto Roland Geyer, Professore associato di Gestione ambientale presso la Facoltà di Scienze dell’Università della California-Santa Barbara e anche lui co-autore dello Studio – Aiutare ogni paese a sviluppare una sana e solida infrastruttura di gestione dei rifiuti è una priorità assoluta, Altrettanto importante è aumentare i tassi di riutilizzo e di riciclaggio della plastica che hanno significativi vantaggi economici e ambientali, utilizzando i giusti incentivi per motivare la raccolta dei rifiuti di plastica e la sua trasformazione in risorse secondarie preziose. Infine, abbiamo bisogno di considerare come utilizziamo la plastica e cosa facciamo per il suo adeguato uso. In alcuni casi, la riprogettazione del prodotto può essere il modo migliore di procedere, in altri la sostituzione del materiale”.
FONTE: Regioni e Ambiente (www.regionieambiente.it)