L’accertamento extracontabile (articolo 39, comma 2, Dpr 600/1973) è ammesso anche in caso dichiarazione presentata con ritardo superiore ai novanta giorni?
La situazione è assimilabile all’omessa presentazione, con possibilità per l’ufficio di adottare qualsiasi elemento probatorio per rideterminare il reddito in capo al contribuente. L’accertamento extracontabile (articolo 39, comma 2, Dpr 600/1973) è ammesso anche in caso dichiarazione presentata con ritardo superiore ai novanta giorni, ipotesi equiparata alla omessa dichiarazione. In tal caso, il reddito del contribuente può essere determinato anche avvalendosi di presunzioni semplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
È quanto affermato dalla Cassazione con la sentenza 4785 del 24 febbraio 2017.
L’iter processuale di merito
Il contenzioso giunto in Corte di cassazione e oggetto del presente commento, trae origine da un avviso di accertamento Iva e Irap interessante l’anno d’imposta 2000 ed emesso a carico di una società di persone in liquidazione a causa della rilevata tardiva presentazione della dichiarazione dei redditi. Il predetto atto impositivo quantificava un maggior reddito con un ricarico applicato pari al 15 per cento.
I liquidatori della società impugnavano l’avviso di accertamento e i giudici di primo grado statuivano l’applicazione di una percentuale di redditività ritenuta equa del 9%, partendo dall’assunto che l’atto risultava carente sotto il profilo motivazionale, in quanto non erano stati indicati i dati, le notizie, i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a base dei recuperi effettuati.
La Ctr, investita del gravame proposto dalla società contribuente, lo accoglieva sulla base di due ordini di ragioni:
- la rideterminazione, operata dai giudici di primo grado, della percentuale di redditività dal 15% al 9% “…non elimina l’errore di fondo in quanto non tiene conto dei dati esposti nella dichiarazione IVA…”
- inoltre, “…la ricostruzione dell’Ufficio nell’avviso di accertamento impugnato appare fortemente viziata non essendo supportata da elementi probatori certi…” e in assenza di alcun collegamento a riscontri oggettivi.
L’Agenzia delle Entrate interponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di Ctr, eccependo due motivi di gravame:
- violazione di legge in relazione agli articoli 2, comma 7, Dpr 322/1998; 41, comma 2 e 38, comma 3, Dpr 600/1973, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3) del codice di procedura civile, in quanto l’applicazione della originaria percentuale di redditività del 15% rispondeva alla esigenza, in presenza di tardiva presentazione della dichiarazione oltre i novanta giorni rispetto al termine di scadenza previsto dalla legge, di equipararne il contenuto al profilo sanzionatorio previsto nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione ovvero di presentazione di dichiarazioni nulle
- omessa petizione circa un punto decisivo della controversia, in quanto la Ctr aveva evitato di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità, proposta dall’ufficio, dell’appello della società per genericità dei motivi di impugnazione, in violazione del disposto di cui all’articolo 53, comma 1, Dlgs 546/1992.
La società, in persona dei liquidatori, si costituiva nell’instaurato giudizio di legittimità con proprio controricorso, con il quale deducevano, a loro volta, la genericità dei motivi di ricorso per cassazione – come sopra sintetizzati – sottolineando, tra l’altro, che la Ctr non si era espressa sulla specifica doglianza di inammissibilità dell’appello per assenza di motivazioni specifiche. Inoltre, con successive memorie depositate ex articolo 378 cpc, i predetti liquidatori, nel merito, rilevavano l’insufficienza delle motivazioni dell’avviso di accertamento nelle quali non veniva individuato alcun settore mercantile di riferimento con la conseguenza che, correttamente, il giudice di secondo grado aveva ritenuto viziata la ricostruzione operata dall’ufficio.
La decisione
La Cassazione ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria sulla base delle seguenti motivazioni. A parere dei giudici di legittimità, in primo luogo, appare manifesta l’erroneità, sul punto, della sentenza di secondo grado laddove viene sostanzialmente affermato che la ricostruzione, operata dall’ufficio e posta a base dell’avviso di accertamento originariamente impugnato, fosse carente di elementi probatori certi e di riscontri oggettivi. Invero, come espressamente affermato dal disposto di cui all’articolo 2 del Dpr 322/1998 con cui si dispone che “…le dichiarazioni presentate con un ritardo superiore ai novanta giorni (come quella interessante il caso di specie) …si considerano omesse…” pur rappresentando “…titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta”.
Di conseguenza, la Corte suprema, attraverso il riferimento alla norma appena citata, effettua un indubbio parallelismo tra dichiarazione presentata fuori termine e omessa dichiarazione. Detta equiparazione trova il suo naturale corollario nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale, nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione, la normativa di riferimento consente all’ufficio di adottare qualsiasi elemento probatorio, a suo favore, al fine di rideterminare il reddito in capo al contribuente interessato; quindi, anche attraverso l’applicazione di una metodologia di accertamento induttivo utilizzando, in deroga ai principi di carattere generale, presunzioni semplici non caratterizzate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, richiesti dall’articolo 38, comma 3, del Dpr 600/1973.
Pertanto, a fronte della, a questo punto, legittima prova presuntiva offerta dall’ufficio incombe sul contribuente l’onere di addurre e provare fatti o circostanze impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa tributaria stessa (cfr Cassazione, 20708/2007).
La decisione in commento determina la conseguenza che, in ipotesi di tardiva presentazione della dichiarazione dei redditi, circostanza accomunata – dai giudici di legittimità – a quella di omessa presentazione della stessa, l’ufficio risulta abilitato non solo alla rettifica dei ricavi ma anche alla legittima contestazione della deducibilità di costi e della detraibilità dell’Iva per assenza del fondamentale requisito della certezza.