stranieri, grandi impreseLe micro, piccole e medie imprese rappresentano il 99% delle aziende operanti nella maggior parte dei Paesi del G20. In alcuni Stati, addirittura, le microimprese (con meno di dieci dipendenti) sono di gran lunga le più diffuse (il 96% in Giappone, il 78% in Danimarca, Spagna, India, Paesi Bassi e Svezia). Questi alcuni dei dati contenuti nel report Ocse Taxation of SMEs in OECD and G20 Countries, che analizza l’impatto delle politiche fiscali sulla creazione, l’attività e la crescita delle Pmi in 39 tra Paesi membri dell’Organizzazione con sede a Parigi e Stati aderenti al G20.

 

Cosa sono le Pmi?

 

Come si riconosce una piccola e media impresa? Il report parte dalla considerazione che non esiste a livello globale una definizione univoca. Le definizioni vigenti si basano su criteri quali il numero di dipendenti e il volume d’affari annuo. La Commissione europea, ad esempio, considera appartenenti alla categoria delle micro, piccole e medie imprese quelle che hanno meno di 250 dipendenti, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro. Nel dettaglio, le piccole imprese sono quelle con un personale inferiore alle 50 unità e un fatturato, o totale di bilancio annuo, al di sotto di 10 milioni di euro; le micro, invece, hanno meno di 10 dipendenti e un fatturato non superiore a 2 milioni euro. Ma altri Paesi Ocse o G20 usano differenti criteri per definire l’ambito delle Pmi. Il Canada, ad esempio, fa rientrare nella categoria le aziende con meno di 500 dipendenti, mentre molti altri Paesi, invece, hanno stabilito come requisito una soglia di dipendenti nettamente inferiore rispetto a quella proposta dall’Ue (ad esempio, 100 in Israele e addirittura 19 in Nuova Zelanda).

 

Il Fisco al servizio delle piccole imprese

 

Il report passa in rassegna, grazie alle risposte del questionario inviato ai Paesi aderenti alla ricerca, le misure fiscali più diffuse a sostegno delle Pmi. Tra queste: aliquote della tassa sul reddito societario ridotte (in 15 giurisdizioni), deduzioni fiscali, crediti d’imposta (ad esempio sulle assunzioni o per ricerca, sviluppo e innovazione) ed esenzioni ad hoc, agevolazioni per gli investimenti iniziali e, infine, procedure e regimi fiscali semplificati in 17 Paesi. Lo studio evidenza, però, che se queste misure da una parte sono state introdotte per supportare la crescita delle piccole e medie imprese, dall’altra possono avere un effetto distorsivo sulla loro attività e sul mercato. Molte Pmi, infatti, scelgono di rimanere entro certi limiti aziendali, e, quindi, di non espandersi, per continuare a godere dei trattamenti fiscali di favore a loro riservati. La ricerca evidenzia, inoltre, altre criticità. Ad esempio, sebbene in linea di principio i sistemi tributari nazionali dovrebbero essere neutrali rispetto alla dimensione delle imprese, gli adempimenti fiscali connessi alla creazione e alla gestione dell’attività pesano di più sulle Pmi che sulle aziende di grandi dimensioni. Il sistema fiscale, inoltre, viene criticato perché garantisce spesso un trattamento asimmetrico dei profitti e delle perdite. Un altro ostacolo, seppur non strettamente fiscale, è rappresentato dalla difficoltà di accesso al credito da parte delle Pmi. Difficoltà in aumento soprattutto negli ultimi anni, a causa della crisi finanziaria internazionale.

 

Le raccomandazioni dell’Ocse

 

Nel report l’Ocse offre alcune indicazioni ai Governi per incentivare la creazione e la crescita delle Pmi. L’Organizzazione con sede a Parigi si sofferma soprattutto sul ruolo centrale della semplificazione. I Governi dovrebbero offrire alle piccole e medie imprese misure semplificate, facendo leva soprattutto sulle nuove tecnologie per ridurre i costi amministrativi connessi agli obblighi fiscali. Il report consiglia agli Stati, inoltre, di avere un occhio di riguardo per le Pmi di recente creazione, perché soffrono più delle altre di problemi di finanziamento e flusso di cassa e incontrano maggiori barriere all’entrata nei mercati. Un ulteriore aspetto da considerare, sottolinea lo studio Ocse, è l’eterogeneità delle Pmi, tra loro molto diverse per grado di innovazione, settore di intervento e potenziale di crescita.