In questo approfondimento il Dottor Marcello Lupoli approfondisce, attraverso una recente sentenza del TAR l’applicazione del giudizio di ottemperanza quando emergono omissioni della PA in caso di sentenza sfavorevole ad essa.


Al fine di far conseguire al ricorrente vittorioso gli effetti favorevoli di un giudicato illegittimamente negati dalla P.A. con un comportamento omissivo, viene esperito il giudizio di ottemperanza, il cui oggetto consiste nella verifica circa la puntuale esecuzione della pronuncia, atteso l’obbligo dell’Amministrazione di conformarsi alla stessa, non sussistendo in capo alla P.A. alcuna discrezionalità relativamente all’an e al quando, ma al più una limitata discrezionalità con riguardo al quomodo.

È questo, in sintesi, il principio ribadito dal T.A.R. Lazio, Roma, nella sentenza 31 gennaio 2025, n. 2176 resa dalla terza sezione.

Il caso

All’attenzione dei giudici amministrativi capitolini è stato portato il ricorso di una dipendente del Ministero dell’Istruzione e del Merito finalizzato ad ottenere l’ottemperanza da parte del predetto dicastero al giudicato discendente dalla sentenza del tribunale territorialmente competente, in funzione del giudice del lavoro, passata in giudicato, nonché la condanna del ministero convenuto in giudizio al pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del giudicato ai sensi dell’art, 114, comma 4, lett. e), c.p.a.

In particolare, la pronuncia, divenuta res iudicata, di cui si chiede l’ottemperanza, aveva accertato in capo alla parte istante il diritto ad essere inquadrata, a partire da un dato anno scolastico, nella seconda fascia stipendiale con una determinata anzianità di servizio, sulla base del C.C.N.L. di riferimento, con conseguente condanna del citato ministero al pagamento di una determinata somma di denaro, nonché di un ulteriore incremento mensile sino al raggiungimento del successivo gradone stipendiale, con riconoscimento di interessi legali dalla maturazione al saldo.

Viene, altresì, rammentato nel dictum in disamina che la predetta sentenza, munita di formula esecutiva, era stata notificata all’amministrazione e che avverso la stessa non era stato proposto gravame, con conseguente suo passaggio in giudicato, come da certificazione depositata in giudizio.

Ciononostante, non era stata data esecuzione alle statuizioni contenute nella sentenza del giudice del lavoro e, pertanto, con il ricorso de quo la parte interessata ne ha chiesto l’ottemperanza, con assegnazione a tal fine di un termine e richiesta – in caso di ulteriore inerzia – della nomina di un commissario ad acta per provvedervi in sua vece.

Lo svolgimento del processo

Dopo aver scrutinato i presupposti del ricorso in argomento (rituali notifica e deposito dello stesso, definitività della pronuncia giurisdizionale di cui si chiede l’esecuzione e sussistenza della competenza territoriale del giudice adito ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.a.), i giudici amministrativi romani di primo grado hanno ritenuto fondata la doglianza interposta, “essendo decorso il termine dilatorio di 120 giorni previsto dall’art. 14, comma 1, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30 e modificato dall’art. 44, comma 3, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326 per l’avvio dell’esecuzione, e non avendo l’Amministrazione eccepito in giudizio l’avvenuto adempimento delle obbligazioni scaturenti dal predetto titolo giudiziale, né ha fornito alcuna giustificazione in merito all’inerzia serbata”.

In primis, la sentenza de qua ha richiamato i principi giurisprudenziali elaborati in relazione a quanto ne occupa.

Giudizio di ottemperanza: le omissioni della PA in caso di sentenza sfavorevole

Ed invero – dopo aver fatto presente che il “giudizio di ottemperanza […] ha lo scopo di far conseguire al ricorrente vittorioso gli effetti favorevoli della pronuncia giurisdizionale illegittimamente negati dall’amministrazione con un comportamento – apertamente o velatamente – omissivo, incombendo l’obbligo dell’amministrazione di conformarsi ad essa e consistendo il contenuto di tale obbligo nell’attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice (Corte Cost., 8 settembre 1995, n. 419) – il dictum in disamina, come dianzi evidenziato, ha ricordato che l’”oggetto del giudizio di ottemperanza consiste […] nella verifica della corretta attuazione del giudicato (art. 34, co. 1, lett. e, art. 112, co. 1, c.p.a.; v. Cons. Stato, Ad. Plen., 10 aprile 2012, n. 2) e, quindi, nella verifica se il soggetto obbligato ad eseguire la sentenza vi abbia o meno dato puntuale esecuzione (Cons. Stato, sez. VI, 21 dicembre 2011, n. 6773; sez. IV, 15 novembre 2010, n. 8053), essendo l’amministrazione, in via generale, sempre tenuta ad eseguire il giudicato e non potendo per nessuna ragione, di ordine pubblico, di opportunità amministrativa o di difficoltà pratica (ad es., difficoltà economiche e finanziarie), sottrarsi a tale obbligo, non avendo in proposito alcuna discrezionalità per quanto concerne l’an ed il quando, ma al più una limitata discrezionalità per ciò che concerne il quomodo (Cons. St., sez. IV, 7 maggio 2002, n. 2439)” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 658 del 9 febbraio 2015)”.

Un comportamento non giustificabile

Prendendo le mosse da tali coordinate ermeneutiche e declinando le stesse nella fattispecie concreta sub iudice, per i giudici amministrativi romani si è appalesato chiaro che “non risulta essere intervenuto l’adempimento da parte dell’Amministrazione ministeriale resistente all’obbligo di conformarsi al dictum giudiziale recato dalla sentenza ottemperanda, ritualmente notificata, nonostante il passaggio in giudicato della stessa” e che il comportamento omissivo del Dicastero convenuto non è apparso giustificabile, atteso che l’Amministrazione, non costituitasi, non ha inteso spiegare alcuna difesa idonea a contrastare l’azione proposta dalla parte ricorrente. Conseguentemente, l’inerzia ministeriale nel dare attuazione al disposto della pronuncia giurisdizionale di cui si chiede l’ottemperanza ha impedito alla parte interessata di conseguire l’utilitas giuridica riconosciutale, consolidatasi nella sua sfera giuridica per effetto del passaggio in res iudicata della sentenza da ottemperare.

Il giudizio del tribunale

Ritenuto integrato l’istituto del giudizio di ottemperanza nei suoi elementi fondanti, i giudici capitolini hanno accolto la doglianza interposta, con conseguente ordine al Ministero dell’Istruzione e del Merito di dare esecuzione, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza in disamina, alla pronuncia resa dal giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro passata in giudicato, così assicurando sostanzialmente alla parte ricorrente il conseguimento dei diritti riconosciuti incontrovertibilmente ed il pagamento delle somme ivi stabilite.

La sentenza de qua, inoltre, ha ritenuto già di anticipare le eventuali statuizioni da rispettare nell’eventualità di decorso del termine ingiunto senza che l’Amministrazione intimata abbia provveduto. In tal caso, il collegio giudicante, accogliendo la richiesta avanzata dalla parte ricorrente, ha ritenuto di nominare sin d’ora, quale commissario ad acta con facoltà di delega e senza diritto al compenso, il Direttore generale della Direzione generale per il personale scolastico del Ministero in parola, che “dovrà provvedere ad istanza di parte entro i successivi ulteriori 60 (sessanta) giorni, salvo preliminare verifica dell’adempimento da parte del Ministero dell’istruzione e del merito, ancorché successivo al termine assegnato da questo giudice”.

Conclusioni

Nel disconoscere la richiesta di applicazione della misura ex art. 114, comma 4, lettera e), c.p.a. – “in quanto il mero riferimento contenuto nell’epigrafe del ricorso non è sufficiente a introdurne ritualmente la relativa domanda […], risultando conseguentemente la relativa richiesta del tutto generica e quindi inammissibile” – la sentenza in parola ha, invece, inteso evidenziare come l’accertata inerzia del Dicastero convenuto non costituisca un’ipotesi isolata, “inserendosi per converso nell’ambito di un contenzioso seriale di lungo corso, involgente anche il pagamento di cospicue somme di danaro al personale dipendente dell’amministrazione ministeriale rientrante nella categoria del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (c.d. personale ATA), sulle quali maturano interessi legali a carico dell’Erario pubblico, comportante altresì il pagamento di penalità di mora e di spese di giudizio”.

In ragione del carattere risalente e seriale del contenzioso in argomento, nonché dell’incidenza economica dello stesso di non poco momento, i giudici amministrativi romani hanno ritenuto di disporre l’invio di copia della pronuncia de qua alla Procura regionale della Corte dei Conti di riferimento territoriale, per la conseguente delibazione dei profili di competenza.