L’uscita dal lavoro in anticipo rispetto all’età di vecchiaia potrebbe costare al lavoratore il 3-3,5% per ogni anno di anticipo, una soluzione non neutrale per la finanza pubblica ma meno costosa delle ipotesi circolate finora, ad esclusione del ricalcolo contributivo dell’intero.
Secondo l’ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero, questa soluzione potrebbe rappresentare un punto di equilibrio tra le esigenze dei pensionandi e quelle del Governo che sulla materia non vorrebbe stanziare cifre molto alte.
Gli interventi in direzione di una maggiore flessibilità sono stati annunciati per la prossima legge di stabilità, ma il tema principale resta quello delle risorse. Sembra archiviata la possibilità di utilizzare le proposte avanzate in Parlamento da Damiano-Baretta (2% di taglio per ogni anno di anticipo con un limite dell’8%) e quella sulla ”quota 100” tra età e contributi per i costi che potrebbero avere.
Flessibilità praticamente vuol dire naturalmente permettere ai lavoratori di mettersi a riposo qualche anno prima rispetto agli attuali requisiti per la vecchiaia (66 anni e 3 mesi di età per gli uomini, 63 e 9 mesi per le donne del privato) accettando però, purtroppo, un importo di pensione un po’ più basso. In campo ci sono alcune proposte.
L’altra possibilità è il ricalcolo dell’intera pensione con il metodo contributivo, in pratica un’estensione della possibilità offerta fino a fine 2014 alle lavoratrici (che in base a questo schema potevano uscire anche a 57 anni con la cosiddetta «opzione donna»).
In ogni caso la strada che intende imboccare l’esecutivo è quella di un taglio piu’ consistente del 2% l’anno previsto dal ddl Damiano, intorno al 3% per ogni anno di anticipo rispetto all’età pensionabile. Resta il problema di assegni che potrebbero rivelarsi troppo contenuti. «Questo sistema può essere accompagnato dal principio del prestito pensionistico al quale ha fatto riferimento più volte il ministro Giuliano Poletti, che può essere anche alternativo alla penalizzazione».