lavoratori precoci quota 41Nell’agevolazione potrà rientrare solo chi ha lavorato almeno 12 mesi effettivi prima del 19° anno di età e risulti disoccupato, invalido o impiegato in attività particolarmente gravose ancora da definire con i sindacati. I precoci restano delusi dal contenuto del verbale siglato la scorsa settimana tra governo e sindacati. Non piace la misura che introduce la famigerata quota 41, cioè la possibilità di uscire a prescindere dall’età anagrafica, con il perfezionamento di 41 anni di contributi sia per gli uomini che per le donne, senza penalità sull’assegno pensionistico. I vincoli per poter accedere a questo beneficio sono troppi e, quindi, il numero dei lavoratori che ne potranno effettivamente fruire sarà assolutamente irrisorio.

 

Nel verbale si prevede un canale di uscita a 41 anni di contributi, a prescindere dall’età anagrafica, nei confronti di quei soggetti che hanno lavorato prima dei 19 anni (dunque tra il 14° ed il 18° anno compreso), per almeno di 12 mesi in modo effettivo (cioè con esclusione della contribuzione figurativa, volontaria o da riscatto), anche non continuativi. Dunque con uno sconto potenziale pari a 10 mesi per le donne e di un anno e 10 mesi per gli uomini. Non solo. Per poter entrare nella cd. quota 41 il lavoratore dovrà appartenere ad almeno uno dei tre seguenti profili: a) risulti disoccupato senza copertura economica da parte gli ammortizzatori sociali; b) versa in condizioni di salute che determinano una disabilità; c) risulti occupato in alcune attività particolarmente gravose, attività che dovranno essere individuate in un ulteriore round di confronto tra governo e parti sindacali.

 

Le condizioni devono essere rispettate entrambe e quindi, ciò significa che chi è stato impiegato in attività usurante, risulta disoccupato o disabile ma non ha svolto almeno 12 mesi di attività lavorativa prima del 19° anno di età resta tagliato fuori da beneficio, così come lo sarà pure chi ha svolto lavoro prima del 19° anno ma non rientra in uno dei tre sopracitati profili di tutela. Per questi lavoratori l’uscita resterà sempre al perfezionamento di 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne e a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini. Insomma se l’accordo resta questo molti precoci non avranno alcun anticipo dell’età di pensionamento. Rispetto ai valori attuali. Anche perchè l’anticipo pensionistico a cui sta lavorando il Governo, l’altra misura per anticipare l’uscita per il tramite di un prestito anticipato dalla banche e coperto dalle assicurazioni, verrà fissato dal compimento del 63° anno di età tagliando fuori gran parte delle platee dei lavoratori precoci.

 

Facciamo il classico esempio del lavoratore con 40 anni di contributi e 60 anni di età che magari ha la sfortuna di non aver lavorato 12 mesi prima del 19° anno o che non rientra in uno dei tre profili indicati (disoccupati, invalidi e usuranti): costui oltre a non poter entrare nell’agevolazione della quota 41, non potrà neanche fruire dell’APE perchè non ha compiuto i 63 anni di età. E ciò a prescindere dal fatto che entro i successivi 2 anni e 10 mesi maturerebbe il diritto alla pensione anticipata (42 anni e 10 mesi di contributi). Una vera e propria beffa denunciano i comitati che rappresentano le istanze di questi lavoratori che chiedono da tempo il raggiungimento di un’intesa sulla quota 41 per tutti i lavoratori senza distinzioni o restrizioni di alcun genere.

 

Magra consolazione l’addio, finalmente, della penalizzazione sulle uscite anticipate prima del 62° anno di età che, a legislazione vigente, sarebbe dovuta ritornare dal 2018. Non si prevede, invece, almeno per ora alcun rallentamento dell’adeguamento del requisito contributivo alla speranza di vita: pertanto dal 2019 i requisiti continueranno a subire l’adeguamento demografico Istat.