L’integrazione al trattamento minimo è un istituto introdotto dall’articolo 6 della legge 638/1983 che tutela i pensionati, al di sotto di un determinato livello di reddito, il cui assegno pensionistico non sia sufficiente a garantire una vita dignitosa. Qualora l’assegno sia al di sotto di un determinato importo fissato annualmente dalla legge il pensionato può avere diritto ad una integrazione.
In altri termini il trattamento minimo è un’integrazione che lo Stato, tramite l’INPS, corrisponde al pensionato quando la pensione, derivante dal calcolo dei contributi versati, è di importo molto basso, al di sotto di quello che viene considerato il “minimo vitale”. In tal caso l’importo della pensione spettante viene aumentato (“integrato”) fino a raggiungere una cifra stabilita di anno in anno dalla legge. Il trattamento minimo per l’anno 2016 è fissato in 501,89 euro. Per cui le prestazioni a carattere previdenziale al di sotto di tale soglia possono essere oggetto di una integrazione al minimo.
I Requisiti – Per ottenere l’integrazione al minimo il soggetto deve soddisfare determinati requisiti di reddito in quanto non tutte le prestazioni al di sotto della soglia limite possono essere integrate. Vediamoli.
I limiti di reddito individuali – Se il soggetto non è coniugato, ovvero coniugato con persona legalmente ed effettivamente separata, il limite di reddito definito in via previsionale per il 2016 per il diritto alla totale integrazione è pari a 6.524,07 euro; mentre l’integrazione parziale può essere concessa oltre la predetta cifra e sino a 13.049,14 euro (cioè due volte il trattamento minimo dell’anno in questione). Oltre tale cifra è esclusa l’integrazione.
Ad esempio un pensionato che ha un reddito annuo di 5mila euro ed una pensione di 150 euro potrà contare sull’assegno pieno, pari a 502 euro al mese; se ha un reddito invece di 10mila euro potrà ottenere solo un’integrazione parziale dell’assegno pari a 235 euro al mese (13.049 € – 10.000 € / 13) e raggiungerà un assegno di 385 euro al mese. Nessuna integrazione sarà riconosciuta se il pensionato avesse 14mila euro di reddito annuo.
Limiti di reddito coniugali – Se il soggetto è coniugato con persona non legalmente ed effettivamente separata, la questione si complica. E non di poco. Se la pensione ha avuto decorrenza prima del 1994 i redditi coniugali sono del tutto irrilevanti e pertanto non entrano in considerazione. Se la pensione ha decorrenza nell’anno 1994 o dopo tale data l’integrazione è concessa a condizione che risultino soddisfatti entrambi i seguenti requisiti: 1) il beneficiario non superi i 13.049,14 euro di reddito individuale; 2) i redditi coniugali non superino 4 volte il trattamento minimo nell’anno di riferimento pari cioè per il 2016 a 26.098,28 euro (32.622,35 euro, pari a 5 volte il trattamento minimo nell’anno di riferimento, se la pensione ha avuto decorrenza nel 1994).
La legge stabilisce che l’importo spettante è quello minore risultante dal doppio confronto tra il limite massimo di reddito personale (13.049,14) e quello effettivamente conseguito e tra il limite di reddito della coppia (26.098,28) e quello conseguito. Quindi proseguendo l’esempio precedente se il pensionato avesse 10mila euro di reddito personale e 25mila di reddito coniugale costui avrebbe diritto ad un’integrazione di soli 86 euro (26.098 € – 25.000 € / 13). Nessuna integrazione spetterebbe invece qualora i redditi coniugali fossero ad esempio pari a 30mila euro (ovviamente considerando una pensione liquidata post 1994).
I redditi. L’integrazione al minimo è, pertanto, strettamente legata ai redditi del pensionato e della coppia. Bisogna quindi valutare tutti i redditi personali e di quelli del coniuge con la sola eccezione: dei redditi esenti da Irpef (pensioni di guerra, rendite Inail, pensioni degli invalidi civili, i trattamenti di famiglia, Trattamento di fine rapporto, eccetera); la pensione da integrare al minimo; il reddito della casa di abitazione; gli arretrati soggetti a tassazione separata. Qualsiasi altro reddito entra nella valutazione.
La Cristallizzazione del rateo. Ai sensi dell’articolo 6, comma 7 della legge 638/1983 l’importo del rateo integrato erogato alla data della cessazione del diritto all’integrazione viene conservato sino al suo superamento per effetto dell’applicazione delle disposizioni riguardanti la perequazione automatica delle pensioni. In altri termini se il pensionato perde il beneficio dell’integrazione al minimo (ad esempio per superamento dei vincoli di reddito) questi continuerà a vedersi corrispondere un rateo nella misura fissata al momento della cessazione del diritto all’integrazione.
Prestazioni integrabili al minimo – In linea generale sono integrabili al minimo tutte le prestazioni previdenziali dirette ed indirette (pensioni ai superstiti) erogate dall’AGO, dai fondi per i lavoratori autonomi, dai fondi esclusivi e sostitutivi della medesima ad eccezione della sola pensione supplementare. Particolari condizioni interessano l’integrazione al minimo dell’assegno ordinario di invalidità (si veda qui per i dettagli) nonchè i casi in cui il pensionato sia titolare di piu’ trattamenti pensionistici (si veda qui per i dettagli). La disciplina dell’integrazione al minimo non è applicabile alle pensioni liquidate esclusivamente con le regole del sistema contributivo cioè per chi ha iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 (ciò determina, peraltro, la conseguenza che l’istituto non è applicabile ai lavoratori che ottengono una prestazione dalla gestione separata).
Le maggiorazioni. In questa sede, per completezza, pare utile ricordare che l’ordinamento riconosce anche ulteriori sostegni nei confronti delle pensioni di importo molto basso oltre all’integrazione al minimo. Si tratta della cd. maggiorazione sociale che può portare una quota aggiuntiva pari a 25,83 euro al mese per coloro che hanno dai 60 ai 64 anni, 82,64 euro per chi ha un’età che si colloca tra 65 e i 69 anni. In favore degli ultra 70enni c’è poi la possibilità di ottenere un incremento aggiuntivo affinchè l’assegno in pagamento ragguagli il cd. milione delle vecchie lire, oggi circa 640 euro al mese, (si veda la tavola per un approfondimento).
Da segnalare, infine, che sulle pensioni di importo basso può essere attribuito l’importo aggiuntivo (pari a 154,94 € annui pagati con la mensilità di dicembre) e la cosiddetta quattordicesima istituita dal Governo Prodi dal 2007 in favore dei pensionati ultra 64enni che può portare dai 336 ai 504 € annui.