L’Avvocato Maurizio Lucca analizza, tramite una recente sentenza, il tema dell’eccesso improprio di permessi e altri reati collegati alle false attestazioni di presenza.
La sez. giurisdizionale Lombardia della Corte dei conti, con la sentenza n. 190 del 6 dicembre 2024, condanna un amministratore locale per l’uso improprio dei permessi per l’esercizio delle funzioni amministrative, ex art. 79 del d.lgs. n. 267/2000: un abuso in assenza dei requisiti di legge, ovvero false attestazioni dell’effettivo esercizio del mandato nei giorni richiesti, oltre ad altri profili di danno [1].
La responsabilità erariale
La procura erariale, relativo a fatti già oggetto di condanna penale irrevocabile (per i reati di truffa aggravata, falso in atto pubblico commesso da pubblico ufficiale, peculato, minacce, falsità in testamento olografo, turbativa d’asta, istigazione alla corruzione e circonvenzione di incapace, oltre alla pena dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità in perpetuo di contrattare con la Pubblica Amministrazione), qualifica il danno (quantificato nel valore):
- patrimoniale diretto, cagionato all’ente tramite la fruizione di indebiti permessi amministrativi;
- danno patrimoniale indiretto, cagionato all’ente per i risarcimenti che quest’ultimo ha dovuto erogare a terzi, quale conseguenza di condotte illecite;
- danno non patrimoniale all’immagine del Comune derivante da condotte delittuose del convenuto.
Le condotte criminali
Nel periodo di esercizio del mandato (ricopriva la carica di Sindaco) il convenuto era dipendente di diverse società private:
- beneficiando di permessi funzionali all’esercizio dell’incarico elettivo, inoltrando al proprio datore di lavoro le attestazioni giustificative dell’assenza recanti la firma del Segretario comunale; firma del tutto falsa in quanto le giornate di assenza non corrispondevano ad alcun esercizio della carica (nessuna seduta di Giunta/Consiglio o presenza presso la sede comunale): le attestazioni erano poste alla base dei rimborsi del tutto illeciti in quanto falsi (aspetto questo rimarcato in sede di difesa dalla circostanza che il falso era evidente, sicché l’addebito doveva essere posto a carico del personale comunale che non si era avveduto di tale alterazione);
- in qualità di amministratore di sostegno aveva contraffatto il testamento di un soggetto residente, indicando quale beneficiario il Comune, per poi favorire l’acquisto di alcuni terreni a terzi a prezzo di favore, pur in presenza di contestazioni da parte degli eredi legittimi: testamento dichiarato nullo, con condanna del Comune a restituire i beni ancora nella disponibilità (e la differenza di valore per i beni alienati a prezzi di “svendita”) e le spese di giudizio;
- sempre in qualità di amministratore di sostegno, avrebbe utilizzato a proprio piacimento i conti correnti per pagare alcune spese personali, multe, e altre regalie ad associazioni locali, con minaccia ad un congiunto all’allorquando veniva scoperta (denunciato) la gestione poco oculata, nonché, orientando alcuni testamenti (risultati falsi) verso il Comune o alla Parrocchia.
Il danno causato dall’eccesso di permessi
Il Collegio giudicante annota che i fatti sono stato oggetto di accertamento definitivo in sede penale, escludendo ogni difesa sull’illeceità penale della condotta, determinandosi la responsabilità erariale (per il quantum vengono accolte le proposte della procura erariale):
- tutti i permessi, retribuiti e non retribuiti, ai fini del rimborso postulano un’attestazione dell’ente che dia puntuale documentazione dell’attività e dei tempi di espletamento del mandato per i quali i lavoratori chiedono ed ottengono i permessi stessi, sicché la produzione dell’attestazione falsa connota una condotta illecita con grave danno per le casse comunali, a seguito dell’esborso non dovuto: si perfeziona l’intenzionalità della condotta, quanto meno in termini di dolo eventuale, essendo del tutto prevedibile che ne sarebbe derivato un pregiudizio ingiusto per l’Amministrazione comunale corrispondente al pagamento su presenze del fittizie.
- il danno patrimoniale indiretto corrisponde alle spese sostenute per il risarcimento dei danni subiti dal Comune a seguito delle azioni giudiziarie degli eredi, in presenza di testamenti risultati falsi, pur quando il Comune veniva diffidato prima della vendita dei beni del defunto, peraltro ad un prezzo inferiore rispetto al mercato immobiliare (anche in questo caso, siamo in presenza di una condotta affetta da dolo);
- la lesione reputazionale (danno all’immagine non accolta, come quella di falsificazione del testamento), consegue (può conseguire) a qualunque delitto che sia commesso in danno di una Pubblica Amministrazione, rilevando per l’incarico di amministratore di sostegno, pur se sia certamente un munus publicum (da cui può derivare, nell’ipotesi di mala gestio del patrimonio del tutelato, la sussistenza del delitto di peculato, come nel caso di specie), tuttavia non era stato conferito per la sua qualità di Sindaco ma per la vicinanza con la famiglia dell’assistito, mancando, pertanto, un rapporto di servizio con il Comune, il cui diritto all’immagine dovrebbe essere difeso semmai dal Ministero della giustizia [2];
- per i reati di truffa aggravata e falso in atto pubblico commesso da pubblico ufficiale, turbata libertà degli incanti e istigazione alla corruzione, sussistendo il rapporto di servizio con il Comune, la connessione della condotta illecita con tale rapporto, l’elemento psicologico del dolo, il danno d’immagine viene quantificato, essendo dimostrata l’eco mediatica, oltre all’aspetto riferito al vertice apicale della carica (enfatizzando la portata lesiva: «la personalità egocentrica del convenuto, abituato a governare il Comune come se fosse un suo dominio personale, con ciò contribuendo a diffondere nella comunità l’idea di un uso personale, distorto e spregiudicato delle funzioni pubbliche a lui affidate, con evidente incrinamento dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e conseguente perdita di fiducia della collettività nell’operato dell’amministrazione comunale»), secondo il c.d. criterio del duplum, fissato dall’art. 1, comma 1sexies della legge n. 20/1994, a tenore del quale «nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente».
Controlli e verifiche
La sentenza nella cruda analisi dei fatti, e nella indifferenza (mancato accoglimento) dei motivi di discolpa, porta a riflettere sull’esigenza di verificare e controllare la documentazione a supporto di richieste o rendicontazioni, dovendo contestare sempre l’evidenza dei fatti, quando si percepisce l’anomalia, o l’insolita modalità di attestare i benefici, richiedendo chiarimenti, ovvero, effettuando un’attività istruttoria che dia conto degli accertamenti o delle contestazioni, specie ove sono notorie le condotte.
In termini più chiari, quando le liquidazioni vengono effettuati da personale in possesso di una professionalità specifica (dotato di talento e competente nel procedimento, ai sensi della legge n. 241/1990), è ravvisabile la grave negligenza e l’abnorme trascuratezza dei doveri d’ufficio, nell’esercizio delle funzioni attribuite, per l’omessa attività di esercitare i controlli sull’attività di rendicontazione, determinando il maturare di un più che significativo livello di danno che, diversamente, non si sarebbe potuto verificare, in alternanza con condotte omissive che si connotano come gravemente colpose, in aperta violazione degli obblighi di servizio che impongono di assicurare la rendicontazione e il controllo delle pezze giustificative (rectius attestazioni di presenza), specie quando tali verifiche sono immediate, oppure, quando si è a conoscenza di criticità e non adottando una formale procedura di controllo e rendicontazione volta a superarle, anche attraverso l’individuazione di adeguate misure [3].
Di fronte alle altre diversificate condotte è determinante rafforzare il principio di separazione tra politica e amministrazione, garantendo e presidiando la c.d. riserva di amministrazione (ex art. 107 del d.lgs. n. 267/2000), impedendo il sovrapporsi di poteri politici con competenze gestionali e di risultato, censurando senza esitazioni l’alterazione dei ruoli, soprattutto quando chi nell’esercizio dell’ufficio pubblico (il c.d. munus publicum) costantemente deborda.
In ogni caso, a fronte di condotte connotate da una forte componente criminale manipolatoria solo il modello etico può rispondere con politiche di integrità, negando la partecipazione a disegni eversivi della legalità, confondendo ruoli e poteri, educando e influenzando le coscienze, affidandosi all’autorità del migliore, secondo il principio naturale che vuole che ciò che vale di meno sia soggetto a ciò che vale di più: la consapevolezza della priorità delle leggi rispetto alla volontà politica e all’arbitrio di chi governa (rule of law o Stato di diritto), già nei canoni espressi in Platone e Aristotele, ripresi da Seneca in De clementia.
Note
[1] La valida costituzione del titolo giustificativo del permesso si perfeziona solo ex post con l’attestazione dell’effettivo esercizio del mandato, TAR Puglia, Lecce, sez. II, 28 giugno 2018, n. 1079.
[2] Cfr. Corte conti, sez. giur. Piemonte, n. 26/2014; sez. giur. Emilia-Romagna, n. 140/2019; sez. giur. Liguria, n. 208/2021 e n. 15/2024; sez. giur. Lombardia, n. 125/2024.
[3] Cfr. Corte conti, sez. giur. Veneto, 9 dicembre 2024, n. 242.
Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca - Segretario Generale Enti Locali e Development Manager