Serve un onere motivazionale rafforzato per il diniego dei trasferimenti dei dipendenti  ex art. 33, comma 5, della legge 104/1992.


Il provvedimento con il quale si nega il trasferimento del dipendente pubblico ex art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992 richiede una motivazione rafforzata, dovendo l’amministrazione fornire una puntuale e concreta indicazione delle effettive criticità che il trasferimento comporterebbe, ad esito di un’accurata ponderazione tra l’interesse del lavoratore all’assistenza del familiare disabile e le specifiche esigenze di servizio, non essendo sufficienti generiche valutazioni sulle scoperture di organico o sulle necessità di servizio da fronteggiare.

È questo, in sintesi, il portato della sentenza 20 novembre 2024, n. 9322 resa dalla terza sezione del Consiglio di Stato.

Il caso

I giudici di Palazzo Spada sono stati chiamati a decidere sull’appello proposto da un vigile del fuoco avverso la sentenza del giudice amministrativo di prime cure territorialmente competente, con cui era stata rigettata la doglianza interposta avverso il diniego opposto dal Ministero dell’Interno all’accoglimento dell’istanza di assegnazione ex art. 33, comma 5, della l. n. 104/1992 per assistere il coniuge affetto da grave patologia invalidante.

In particolare, il predetto Dicastero aveva fondato il diniego rappresentando che la sede ove l’interessato prestava servizio presentava serie criticità relativamente all’organizzazione del servizio.

La difesa dell’Amministrazione

Le argomentazioni dell’Amministrazione, ritenute degne di accoglimento dal giudice amministrativo di primo grado, sono state censurate dall’appellante, il quale – dopo avere evidenziato che, essendo un vigile del fuoco generico senza alcuna particolare qualifica, non sarebbe risultato indispensabile in considerazione della fungibilità delle sue mansioni – ha evidenziato che il citato Ministero non avrebbe tenuto conto sia della distanza tra la sede di servizio e il luogo dove dimorava la moglie con necessità di assistenza e senza altri familiari che potessero fornirla, sia della possibilità di assegnazione in alternativa presso altre sedi del medesimo territorio regionale comunque più vicine alla dimora familiare, non fornendo una puntuale indicazione delle concrete ed effettive esigenze organizzative di impedimento all’assegnazione presso la sede richiesta ed evidenziando che, comunque, l’organico effettivo della sede ove l’interessato prestava servizio era stato interessato da taluni trasferimenti temporanei.

Viene, altresì, riferito nella sentenza in disamina che l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata era stata accolta da giudiici di Piazza Capo di Ferro.

Diniego a trasferimenti per Legge 104: servono motivazioni solide

Dopo aver disatteso l’eccezione rituale di inammissibilità del gravame avanzata dal Dicastero resistente, non avendo rinvenuto nei motivi di censura avanzati una mera riproduzione delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto fondato l’appello interposto.

Ed invero, la sentenza in disamina ha preso le mosse dall’osservazione che “nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico non privatizzati l’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 implica un complessivo bilanciamento tra l’interesse del privato e gli interessi pubblici nell’esercizio del potere discrezionale da parte dell’Amministrazione” e che, pertanto, “la pretesa del lavoratore che effettivamente assista con continuità un parente colpito da handicap alla scelta della sede di lavoro può trovare accoglimento se risulti compatibile con le specifiche esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro e se sussista la disponibilità nella dotazione di organico della sede di destinazione del posto in ruolo per il proficuo utilizzo del dipendente che chiede il trasferimento”.

I precedenti giurisprudenziali

Tanto premesso – hanno argomentato i supremi giudici amministrativi richiamando precedenti giurisprudenziali in materia (cfr., di recente, C.d.S., sez. III, ordinanze n. 2740 e 2725 del 2024) – “il beneficio previsto dall’istituto in esame, stante la delicatezza degli interessi alla cui tutela è preposto, incontr[a] quale unico limite l’impossibilità per l’Amministrazione di concedere il trasferimento richiesto, da intendere nel senso che la stessa può negare il trasferimento ex art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 solo se ne conseguano effettive e ben individuate criticità per l’Amministrazione stessa, che ha però l’onere di indicarle in maniera compiuta per rendere percepibile di quali reali pregiudizi risentirebbe la sua azione”.

Pur non riconoscendo la richiamata normativa un diritto soggettivo al trasferimento, limitandosi a prevedere una valutazione con criterio di priorità, i giudici di Piazza Capo di Ferro (da ultimo, cfr. sez. III, sentenza n. 3844/2024 e ordinanza n. 3562/2024) hanno evidenziato che la predetta valutazione “deve trovare rispondenza in un surplus di onere motivazionale che non può limitarsi alla mera rappresentazione di generici dati organizzativi, per lo più di rilevanza stereotipata (come, ad esempio, a generiche carenze di organico o di rischi antropici nella zona), bensì deve dare conto delle ragioni effettive di criticità che porrebbe il trasferimento del dipendente”.

Il tutto ad esito di una verifica accurata e ponderata delle esigenze funzionali,  “le quali devono risultare da una congrua motivazione, di modo che, per negare il trasferimento, le esigenze di servizio non possono essere né genericamente richiamate, né fondarsi su generiche valutazioni in ordine alle scoperture di organico ovvero alle necessità di servizio da fronteggiare, ma devono risultare da una indicazione concreta di elementi ostativi, riferiti alla sede di servizio in atto, anche rispetto alla sede di servizio richiesta”.

Conclusioni

Declinando gli illustrati approdi giurisprudenziali nella fattispecie concreta sub iudice, con riferimento alle motivazioni sottese al provvedimento di diniego oggetto di impugnazione da parte dell’interessato, i giudici di Palazzo Spada hanno rilevato “una carente indicazione delle ragioni del medesimo diniego”, non avendo rinvenuto una motivazione rafforzata che desse conto delle ragioni di effettiva criticità che il trasferimento del dipendente avrebbe causato, non essendo sufficiente a tal fine una rappresentazione “di generici dati organizzativi, perlopiù di rilevanza stereotipata”.

In conclusione, il principio affermato dai supremi giudici amministrativi è quello secondo cui il “beneficio dell’assegnazione della sede più vicina all’assistito di cui all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992 coinvolge […] interessi legittimi e, di conseguenza, implica un complessivo bilanciamento fra l’interesse del privato e gli interessi pubblici nell’esercizio del potere discrezionale da parte dell’Amministrazione; ciò in considerazione del fatto che il trasferimento è disposto a vantaggio del disabile e non, invece, nell’interesse esclusivo dell’Amministrazione ovvero del richiedente, avendo lo stesso natura strumentale ed essendo intimamente connesso con la persona dell’assistito”.

Pertanto, corollario delle predette coordinate giurisprudenziali applicate alla res litigiosa de qua è l’accoglimento del gravame proposto, con conseguenti accoglimento della doglianza di primo grado ed annullamento del provvedimento impugnato per difetto di motivazione.

Il testo della sentenza

Qui il documento completo.


Fonte: articolo del Dott. Marcello Lupoli - Dirigente Pa