blocco-aumenti-pubblico-impiego-pensioneIl blocco degli adeguamenti nel Pubblico Impiego non può trascinarsi sulla pensione: la Corte dei Conti decide sul blocco degli aumenti retributivi nel periodo 2011-2015 e la pensione.


La Corte dei Conti ha accolto, in primo grado, il ricorso di un ex colonnello della Guardia di Finanza che chiedeva il ricalcolo della pensione tenendo conto degli scatti stipendiali maturati durante il blocco negli anni 2011-2015.

 

Il blocco degli incrementi stipendiali automatici disposto dall’articolo 9, co. 21 del decreto legge 78/2010 convertito con legge 122/2010 non può riverberarsi anche sulla misura dell’assegno pensionistico. Lo ha stabilito la Sentenza numero 210 del 21 Settembre della Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la Regione Calabria accogliendo integralmente la domanda di ricalcolo della pensione presentata da un Colonnello della Guardia di Finanza cessato dal servizio nel periodo del blocco degli incrementi retributivi nel pubblico impiego (2011-2015).

 

L’ex militare contestava, in particolare, il mancato computo a fini pensionistici degli aumenti stipendiali e delle progressioni di carriera che sarebbero dovute maturare durante tale periodo, prima della sua cessazione. Il ricorrente lamentava in sostanza che a causa di detto “blocco retributivo”, disposto per gli anni 2011, 2012 e 2013 (successivamente esteso al 2014 e prorogato anche sino al 31 dicembre 2015), il trattamento pensionistico gli fosse stato calcolato sulla base delle voci stipendiali percepite nel 2010, quindi, su una base economica inferiore all’anzianità giuridicamente rivestita al momento del collocamento in congedo.

 

La difesa del ricorrente, curata dagli Avv. Saccucci e Magnano dello studio S&P di Roma, ha contestato il provvedimento di liquidazione della pensione ravvisando in esso una manifesta violazione dei principi enunciati dalla Corte costituzionale in particolare nelle sentenze n. 304/2013n. 310/2013 e n. 154/2014 relativamente alla legittimità delle misure eccezionali di blocco degli aumenti stipendiali. Il Giudice delle Leggi in tali pronunce ha, infatti, riconosciuto la legittimità costituzionale della c.d. “cristallizzazione “ degli incrementi economici a causa della notoria esigenza di contenimento della spesa pubblica a condizione però che tale sacrificio imposto abbia un carattere eccezionale e temporalmente limitato. In altri termini secondo il ricorrente il blocco degli incrementi economici non avrebbe potuto riverberarsi anche sulla pensione comprimendone la sua misura per tutta la vita del pensionato. In tal caso sarebbe stato violato il necessario carattere di temporaneità della misura.

 

La decisione

 

La Corte dei Conti ha condiviso in pieno la tesi della difesa. Secondo i giudici contabili il tenore dell’articolo 21 della disposizione sopra richiamata è inequivocabile nel limitare temporalmente il blocco degli incrementi retributivi, “con conseguente necessità di interpretarla nella più tenue veste di una sospensione temporanea delle progressioni di carriera, senza effetti economici sul trattamento previdenziale“. Tale interpretazione si pone in perfetta sintonia con la sentenza della Corte costituzionale 17 dicembre 2013, n. 310, ove interventi di tale tipologia sono stati ritenuti ammissibili nei limiti del carattere “eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere la irragionevolezza delle misure in questione”.

 

Da tali considerazioni la Corte dei Conti ha accertato la necessità di considerare irrilevante la cristallizzazione esposta ai fini previdenziali, “determinandosi, in caso contrario, una protrazione ad infinitum del blocco retributivo in contrasto con le sopra esposte considerazioni”. Il giudice contabile ha, quindi, ritenuto necessaria e praticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n. 78/2010 tale da scongiurare il prodursi di un sacrificio permanente (non più costituzionalmente giustificabile) ai danni degli ex lavoratori.