Ecco alcuni interessanti chiarimenti sulla validità delle notifiche via PEC, in modo particolare nei casi specifici in cui l’indirizzo PEC non risulta registrato negli elenchi pubblici.
In questo articolo, esamineremo la questione della validità della notifica di una cartella esattoriale inviata tramite indirizzo PEC non registrato nei pubblici elenchi ufficiali, come REGINDE, INIPEC e IPA, tenendo conto della normativa di riferimento e in particolare la sentenza n. 4405 dell’8 novembre 2024 della Corte di giustizia tributaria di Milano, che ha confermato l’inesistenza giuridica della notifica effettuata con un indirizzo PEC non ufficiale, evidenziando l’importanza della corretta registrazione degli indirizzi per garantire la validità degli atti notificati.
Validità delle notifiche via PEC: quando l’indirizzo fa la differenza
La questione giuridica in esame riguarda la validità di una notifica di una cartella esattoriale, effettuata dall’Agenzia delle entrate tramite un indirizzo PEC non risultante nei registri pubblici, quali REGINDE, INIPEC e IPA.
Il quadro normativo che regola le notifiche tramite PEC, si fonda principalmente sull’art. 3-bis della l. n. 53/1994, che, al co. 1, stabilisce che la notificazione con modalità telematica deve avvenire esclusivamente tramite indirizzo PEC risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. L’obiettivo è garantire la certezza sulla provenienza e sulla destinazione dell’atto notificato. In particolare, il legislatore prevede l’utilizzo di indirizzi PEC registrati nei registri ufficiali come IPA, REGINDE e INIPEC.
Tale quadro legislativo è volto ad assicurare l’affidabilità della comunicazione e la protezione del diritto di difesa dei destinatari degli atti, sancendo che l’indirizzo PEC utilizzato per la notificazione debba essere rintracciabile e certificato. Di conseguenza, una notifica effettuata mediante un indirizzo PEC non registrato in questi pubblici elenchi risulta in contrasto con la normativa e viene considerata giuridicamente inefficace.
Quando l’invio risulta legittimo? Il parere della Cassazione
L’orientamento giurisprudenziale di legittimità in materia è piuttosto consolidato e si attesta sulla posizione secondo cui la notificazione tramite PEC è valida solo se eseguita utilizzando un indirizzo PEC che risulti da pubblici registri, come INIPEC, REGINDE e IPA.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3093/2020, ha confermato che la validità della notifica è condizionata all’utilizzo di indirizzi PEC ufficiali, sottolineando che l’elencazione dei registri non è facoltativa, ma tassativa, poiché volta a garantire la riconducibilità dell’indirizzo al soggetto notificante. Inoltre, i giudici hanno ricordato che l’art. 26, co. 5, del D.P.R. n. 602/1973 e l’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973 fanno riferimento alle disposizioni del processo civile, stabilendo che la notifica eseguita con indirizzo PEC non ufficiale è da considerarsi invalida.
Tale indirizzo trova conferma anche in altre decisioni giurisprudenziali, come l’ordinanza n. 17346/2019, con le quali i giudici hanno ribadito che, in caso di invio di un atto tramite un indirizzo PEC non registrato, la notifica è da considerarsi giuridicamente inesistente, non sanabile nemmeno tramite il raggiungimento dello scopo della notifica, come previsto dall’art. 156 c.p.c. La Cassazione ha quindi chiarito che l’inesistenza giuridica della notifica non può essere sanata, poiché tale notifica risulta viziata in partenza dalla mancanza di un elemento fondamentale, ossia l’indirizzo PEC ufficiale.
Le decisioni delle Commissioni Tributarie
In aggiunta alla giurisprudenza di legittimità, anche le decisioni delle Commissioni Tributarie confermano l’orientamento secondo cui l’utilizzo di un indirizzo PEC non ufficiale invalida la notifica. Un esempio significativo è la sentenza n. 915/2022 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che ha dichiarato inesistente la notifica di una cartella esattoriale inviata tramite un indirizzo PEC non presente nei pubblici registri. In questa sentenza, i giudici hanno sottolineato che la mancata dimostrazione dell’inserimento dell’indirizzo PEC negli elenchi ufficiali rende la notifica non sanabile.
Analogamente, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza n. 1526/2021, ha affermato che la notifica è inesistente se proveniente da un indirizzo PEC non ufficiale. I giudici hanno chiarito che la normativa richiede che l’indirizzo PEC da cui proviene l’atto sia consultabile nei pubblici elenchi, come IPA e INIPEC, per garantire la certezza sulla sua provenienza.
La Commissione Tributaria Provinciale del Lazio, nelle sentenze n. 11779/2021 e n. 10571/2020, ha continuato su questa linea, annullando le notifiche che non rispettavano i requisiti normativi, confermando la giurisprudenza consolidata sulla nullità delle notifiche effettuate con indirizzi PEC non ufficiali.
La sentenza della CGT di Milano
Sulla questione, si è da ultimo pronunciata la Corte di giustizia tributaria di Milano, con la sent. n. 4405 dell’8 novembre 2024, con riferimento ad una controversia tra una società e l’Agenzia delle Entrate, in merito alla validità di una notifica di una cartella di pagamento relativa all’anno 2022. In particolare, la società ricorrente aveva impugnato la cartella di pagamento, contestando sia la mancanza, all’interno del registro INIPEC, dell’indirizzo PEC utilizzato per la notifica, sia il difetto di motivazione della cartella che l’inesistenza della pretesa tributaria. In particolare, la difesa asseriva l’invalidità della notifica, dal momento che l’indirizzo PEC del mittente non risultava nell’indice nazionale INIPEC.
L’Agenzia delle Entrate sosteneva invece la tesi della validità della notifica, richiamando l’art. 26 del D.P.R. 602/1973, che consente la notifica delle cartelle esattoriali a mezzo PEC. Inoltre, la convenuta sottolineava che la ricevuta di consegna della PEC confermava l’avvenuta notifica, non sussistendo pertanto alcuna lesione del diritto di difesa del ricorrente.
Indirizzo non valido: in quali casi
Il collegio, pur riconoscendo l’idoneità della PEC quale strumento per la notifica delle cartelle esattoriali, ha ritenuto che l’indirizzo utilizzato dall’Agenzia delle Entrate non fosse valido in quanto non risultante nei pubblici elenchi previsti dalla normativa. In particolare, si fa riferimento all’art. 3-bis della l. 53/1994, rubricato “notificazione in modalità telematica”, il quale, al co. 1, dispone testualmente che: “La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.”.
La mancata iscrizione dell’indirizzo PEC dell’ente notificante nei registri pubblici rende la notifica inesistente e il vizio non è sanabile.
Rigorosa verifica
Il collegio richiama altresì l’art. 16-ter d.l. 179/2012, che dispone quanto segue: “A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia”, ovvero i registri IPA, REGINDE e INIPEC.
Il principio affermato dalla sentenza ha importanti implicazioni giuridiche, in quanto sottolinea la necessità di una rigorosa verifica dell’indirizzo PEC utilizzato per la notifica, al fine di garantire la certezza giuridica e la tutela dei diritti del destinatario. La decisione pone un accento particolare sull’affidabilità del mittente, evidenziando che la notifica da un indirizzo PEC non registrato potrebbe dar luogo a problematiche di autenticità, soprattutto in un contesto di crescente proliferazione di frodi informatiche. Pertanto, qualunque notifica proveniente da un indirizzo PEC differente da quello contenuto nei pubblici registri risulta in contrasto con la normativa e, come tale, priva di effetti giuridici.
Gli indirizzi non registrati negli elenchi ufficiali
La questione della validità delle notifiche tramite PEC, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo di indirizzi non registrati nei pubblici elenchi, rappresenta un tema di fondamentale importanza per garantire la certezza giuridica e la tutela dei diritti dei destinatari degli atti. Il quadro normativo e giurisprudenziale consolidato evidenzia chiaramente che le notifiche telematiche devono avvenire esclusivamente attraverso indirizzi PEC ufficialmente registrati, come quelli contenuti nei registri IPA, REGINDE e INIPEC.
Questo requisito non solo assicura l’autenticità e l’affidabilità della comunicazione, ma protegge anche il diritto di difesa dei destinatari, prevenendo possibili frodi o abusi. La sentenza della Corte di giustizia tributaria di Milano conferma questa posizione, sottolineando che l’utilizzo di un indirizzo PEC non conforme alle normative vigenti rende la notifica inefficace e giuridicamente inesistente. Tale orientamento rafforza l’esigenza di una rigorosa verifica delle modalità di notifica, al fine di evitare inutili contenziosi e garantire che ogni atto notificato abbia valore legale.