contenzioso-tributarioAmpliamento della difesa personale e delle categorie di soggetti abilitati all’assistenza tecnica innanzi alle commissioni tributarie e rafforzamento del principio di soccombenza nella liquidazione delle spese di giudizio.

 

Sono queste le principali novità in materia di assistenza tecnica e spese del giudizio che emergono dagli articoli 12 e 15 del Dlgs 546/1992, come modificati dal Dlgs 156/2015 che, in attuazione dell’articolo 10, comma 1, della legge di delega fiscale, realizza la riforma del contenzioso tributario.

 

Assistenza tecnica

 

L’articolo 9, comma 1, lettera e), del Dlgs 156/2015 ha integralmente sostituito l’articolo 12 del Dlgs 546/1992, con ciò apportando delle significative modifiche rispetto alla disciplina sino a ora vigente.

 

La prima novità di rilievo introdotta dalla riforma in esame consiste nell’ampliamento delle controversie per le quali la parte può stare in giudizio personalmente. Il legislatore ha, infatti, confermato il principio generale secondo cui le parti private devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato, ad eccezione delle controversie di modico valore, nelle quali possono stare in giudizio personalmente. In relazione a queste ultime, è stata, tuttavia, elevata da 2.582 a 3mila euro la soglia del valore della controversia che non richiede necessariamente l’assistenza tecnica.

 

Con riferimento alle ipotesi in cui la parte stia in giudizio personalmente pur trattandosi di una controversia di valore superiore ai 3mila euro, è stata espunta la disposizione che consentiva al giudice di fissare un termine entro il quale la parte è tenuta, a pena di inammissibilità, a conferire l’incarico a un difensore abilitato. La novità, tuttavia, risulta essere solo apparente, poiché il richiamo all’articolo 182 cpc, introdotto all’ultimo comma della nuova disposizione, consente comunque al presidente della commissione o della sezione o al collegio di assegnare alle parti un termine perentorio per la costituzione del soggetto al quale spetta la rappresentanza o l’assistenza.

 

Altra fondamentale novità introdotta dalla riforma del contenzioso tributario è rappresentata dall’estensione del novero di soggetti abilitati all’assistenza tecnica innanzi alle commissioni tributarie. In particolare, il legislatore ha conferito la capacità di fornire assistenza tecnica in giudizio anche ai dipendenti dei Caf e delle relative società di servizi, che siano in possesso, congiuntamente, di requisiti di professionalità, quali il diploma di ragioneria o di laurea magistrale in giurisprudenza, in economia o equipollenti, e la relativa abilitazione professionale. I predetti dipendenti possono difendere i propri assistiti esclusivamente nei contenziosi tributari che scaturiscono dall’attività di assistenza loro prestata, come quelli relativi al disconoscimento degli oneri e delle spese indicati nella dichiarazione compilata e trasmessa dal medesimo Caf (ad esempio, nel caso di rettifica della detrazione di spese mediche).
 

Altra novità in tema di assistenza tecnica riguarda l’accentramento della gestione degli elenchi relativi ai soggetti abilitati all’assistenza tecnica – di cui al comma 3, lettere d), e), f), g) e h) – in capo al dipartimento delle Finanze. In particolare, il ministero dell’Economia e delle Finanze, ai sensi dell’articolo 63, terzo comma, del Dpr 600/1973 (anch’esso modificato dall’articolo 10 del Dlgs 156/2015), può autorizzare all’esercizio dell’assistenza e della rappresentanza innanzi alle commissioni tributarie gli impiegati delle carriere dirigenziale, direttiva e di concetto dell’amministrazione finanziaria, nonché gli ufficiali e i sottufficiali della Guardia di finanza, collocati a riposo dopo almeno venti anni di effettivo servizio.

 

Coerentemente con la titolarità del suddetto potere autorizzatorio, il nuovo articolo 12, comma 4, ha affidato la gestione dei relativi elenchi al dipartimento delle Finanze e ha demandato al ministro dell’Economia e delle Finanze – sentito il ministero della Giustizia – il compito di adottare un regolamento ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 400/1988, al fine di disciplinare le modalità di tenuta dell’elenco in esame e di individuare i casi di incompatibilità, diniego, sospensione e revoca della relativa iscrizione. Per definire le suddette fattispecie, si dovrà tenere conto dei principi contenuti nel codice deontologico forense, attesa la prevalenza, nell’ambito dell’assistenza tecnica, dell’attività defensionale propria dell’avvocatura (il nuovo codice deontologico forense è stato approvato dal Cnf nella seduta del gennaio 2014 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 241 del 16 ottobre 2014).

 

Spese di giudizio

 

Con l’articolo 9, comma 1, lettera f), è stato modificato l’articolo 15 del Dlgs 546/1992, in materia di spese di giudizio. Il principio ispiratore delle modifiche in tema di spese processuali risiede nell’esigenza, da un lato, di scoraggiare l’abuso dello strumento processuale e favorire l’utilizzo degli strumenti deflattivi del contenzioso e, dall’altro, di evitare che la parte sia costretta a sopportare gli oneri del giudizio nel caso di pretesa tributaria infondata.

 

In ossequio agli indicati principi, con la modifica dell’articolo 15 del Dlgs 546/1992, è stato ribadito il criterio secondo cui le spese del giudizio seguono la soccombenza, mentre la possibilità per la commissione tributaria di compensare in tutto o in parte le spese – traslata al comma 2 della norma in esame – è stata consentita solo “in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”.

 

In altri termini, la parte che risulti soccombente nel merito deve essere condannata a rimborsare le spese del giudizio liquidate con la sentenza, salvo compensazione delle medesime che può essere disposta solo qualora siano presenti le condizioni alternative della soccombenza reciproca (cfr, tra le altre, Cassazione 901/2012) o della sussistenza, nel caso concreto, di gravi ed eccezionali ragioni, espressamente motivate dal giudice nel provvedimento che decide sulle spese.

 

Ci si è discostati, dunque, dal testo dell’articolo 92 cpc – richiamato nella precedente formulazione – secondo cui la compensazione è possibile solo in caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. Si può, tuttavia, ritenere che i criteri offerti dal codice di procedura civile continuino a rilevare, in quanto comunque integranti le eccezionali circostanze richieste dalla nuova formulazione.

 

Con l’introduzione nel corpo dell’articolo 15 del nuovo comma 2-bis, il legislatore, per scoraggiare le “liti temerarie”, ha espressamente richiamato l’applicabilità dell’articolo 96, primo e terzo comma, cpc, in tema di responsabilità aggravata (i commi primo e terzo dell’articolo 96 cpc dispongono, rispettivamente, che “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza” e che “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”).

 

 

Con i commi 2-septies e 2-octies, inoltre, il legislatore ha inteso incentivare la risoluzione stragiudiziale delle controversie e il ricorso agli strumenti deflattivi del contenzioso. In particolare, il disposto del nuovo comma 2-septies ha confermato che le spese di giudizio sono maggiorate del 50% nelle controversie proposte avverso atti reclamabili ai sensi dell’articolo 17-bisdel Dlgs 546/1992. La maggiorazione è prevista a titolo di rimborso delle spese sostenute per la fase del procedimento amministrativo, al fine di riconoscere alla parte vittoriosa i maggiori oneri sostenuti nella fase procedimentale obbligatoria ante causam.

 

Il comma 2-octies ha previsto che le spese del processo saranno interamente addebitate alla parte che ha rifiutato la proposta di conciliazione ove il riconoscimento delle pretese risulti inferiore al contenuto dell’accordo proposto. In altri termini, se sussistevano le condizioni per la conclusione di un accordo favorevole a entrambe le parti e una di esse ha rifiutato, senza giustificato motivo, la proposta di conciliazione, il giudice addebiterà le spese del processo alla parte che ha rifiutato l’accordo.

 

In caso di conclusione della conciliazione, invece, le spese del processo saranno dichiarate compensate, salvo diverso accordo nel processo verbale di conciliazione (nella disposizione in commento trova conferma quanto affermato in via interpretativa dall’Agenzia delle Entrate al punto 2.7 della circolare 17/2010, ove si è ritenuta applicabile anche al contenzioso tributario la disposizione di cui all’articolo 91 cpc e, per l’effetto, si è previsto che “gli Uffici, nei casi in cui il contribuente abbia rifiutato la proposta di conciliazione giudiziale formulata, anche a seguito di tentativo di conciliazione esperito d’ufficio dal giudice, avanzeranno richiesta di condanna alle spese subordinandola alla circostanza che la Commissione tributaria decida in senso conforme alla proposta di conciliazione ovvero in termini ancora più favorevoli all’Ufficio”).