Investimenti privati ​​in Intelligenza Artificiale: l’Italia si ferma a 58,9 milioni di dollari, mentre Francia e Germania guidano il continente.


Secondo il recente AI Index Report dell’Università di Stanford, l’Italia si conferma fanalino di coda tra i Paesi europei in termini di investimenti privati nell’Intelligenza artificiale (IA).

Nel 2023, il nostro Paese ha destinato al settore appena 58,9 milioni di dollari, cifra nettamente inferiore rispetto a Francia (1,7 miliardi), Germania (1,9 miliardi) e persino Spagna (362 milioni). Complessivamente, l’Unione Europea, inclusa la Gran Bretagna, ha registrato investimenti per 11,7 miliardi di dollari, una somma modesta se confrontata con gli Stati Uniti (67,2 miliardi).

Questa distanza appare destinata ad aumentare, considerando le scelte strategiche dei principali attori globali. Gli USA mantengono il primato, grazie agli sforzi delle big tech  – colossi come Microsoft, Google e Amazon – e, comunque, sostenuti da un contesto politico che, a seconda delle amministrazioni, oscilla tra regolamentazione e incentivi all’innovazione.

Quanto alla Cina, nonostante investimenti relativamente modesti (nel 2023 “soltanto” 7,76 miliardi di dollari), continua a occupare il secondo posto nella classifica globale grazie a politiche industriali e infrastrutturali di ampio respiro.

Investire nell’Intelligenza Artificiale: la situazione europea e il caso italiano

Il quadro europeo, quindi, mostra segnali di debolezza: relazionato agli sforzi degli altri paesi, il gap è notevole.

Il 2023 ha visto gli investimenti nella UE ridursi del  14,1%, rispetto all’anno precedente, mentre negli  Usa si è registrato un +22,1% e questo divario è sostanzialmente rappresentato dalla frammentazione del mercato europeo che non giova certo allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, visto che i diversi Paesi viaggiano a differenti velocità e in ordine sparso. Il problema primario è, infatti, legato per lo più alle infrastrutture necessarie per lo sviluppo dell’IA: le connessioni rapide e a bassa latenza – che richiedono ingenti investimenti –  risentono, più di ogni altro aspetto, della mancanza di un approccio unitario e condiviso.

In Italia il problema è duplice. Da un lato, i limitati fondi destinati all’IA riflettono una scarsa capacità di attrarre investitori privati, anche a causa di una struttura economica meno dinamica rispetto ad altre nazioni. Dall’altro, l’Italia si posiziona solo al 22° posto (su 36 Paesi) nella classifica di Stanford, con una vivacità complessiva nel settore inferiore a Francia e Germania, che figurano entrambe nelle prime dieci posizioni.

IA, sfide e opportunità

Il rapporto Draghi sul “Futuro della competitività europea”  ha identificato l’IA come uno dei tre principali settori di intervento per colmare il divario tecnologico che separa il “Vecchio Continente” da Stati Uniti e Cina. Tuttavia, lo sviluppo richiederà investimenti significativi nella ricerca, formazione e, come detto, infrastrutture, oltre a una maggiore cooperazione tra i Paesi membri.

Il costo stimato per l’addestramento dei sistemi di IA di nuova generazione potrebbe raggiungere i 10 miliardi di dollari entro il 2030, mentre l’attuale mancanza di strumenti come gli Eurobond penalizza le nazioni economicamente più fragili.

In questo contesto, l’Italia segna il passo ed appare urgente il bisogno di velocizzare le azioni e di incrementare le risorse finanziarie, così che investire in IA non significhi soltanto sostenere un settore tecnologico, bensì  gettare le basi per un sistema economico più competitivo e resiliente.

Va da sé che la fotografia che ci restituisce il report dell’Università di Stanford è, per l’Europa tutta, un chiaro appello alla cooperazione: senza uno sforzo comune a livello europeo e nazionale, il rischio è che il gap con i giganti tecnologici globali diventi incolmabile.


Fonte: articolo di Isabella Righetti