Cibo da casa alla Mensa Scolastica: riceviamo e pubblichiamo da un nostro lettore alcune considerazioni sulla Sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, del 3 Settembre 2018.
Questo commento intende focalizzarsi sul merito della sentenza che ha respinto l’appello con cui il Comune di Benevento ha impugnato la precedente decisione del TAR Campania che ha accolto le tesi di un gruppo di genitori di alunni frequentanti le scuole dell’infanzia e primarie che hanno fatto ricorso contro il regolamento del servizio di refezione scolastica che vietava il consumo dei cibi portati da casa durante la mensa. In particolare stupisce l’affermazione che evidenzia <l’incompetenza assoluta> del Comune che <imporrebbe prescrizioni ai dirigenti scolastici, limitando la loro autonomia con vincoli in ordine all’uso della struttura scolastica e alla gestione del servizio mensa>.
In realtà è l’Istituzione Comunale il soggetto competente all’organizzazione e gestione della mensa scolastica, servizio a domanda individuale che rientra nel più ampio concetto di diritto allo studio. Il dirigente scolastico garantisce l’assistenza agli studenti attraverso il proprio personale insegnante e ATA, ma non organizza il servizio né ne è responsabile. Per cui, a seguire, affermare che < il regolamento comunale interferisce (?) con la circolare del Ministero dell’Istruzione……> non appare corretto in quanto la circolare ministeriale per pacifica dottrina non rientra tra le fonti del diritto ed ha solo valore interno all’Amministrazione (Ministero) di appartenenza, contrariamente al regolamento comunale a cui il nuovo Titolo V ha invece offerto un fondamento costituzionale: infatti il sesto comma dell’art. 117, assegna a Comuni, Province e Città metropolitane la competenza regolamentare in ordine alla disciplina dell’ organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
La scelta del Comune non è in regola
La scelta del Comune di interdire l’uso di cibi portati da casa senza < concretamente dimostrate ragioni di pubblica salute o igiene ….>, riporto testualmente la motivazione della sentenza, contrasta con le Linee di indirizzo nazionale emanate dal Ministero della salute in Conferenza Unificata (provvedimento 29/4/2010) che affermano che < l’adozione di abitudini alimentari corrette per la promozione della salute e la prevenzione delle patologie cronico-degenerative (diabete, malattie cardiovascolari, obesità, osteoporosi, ecc.) di cui l’alimentazione scorretta è uno dei principali fattori di rischio > rappresenta un obiettivo prioritario a livello internazionale per favorire nella popolazione corretti stili di vita . L’accesso e la pratica di una sana e corretta alimentazione è uno dei diritti fondamentali per il raggiungimento del migliore stato di salute ottenibile, in particolare nei primi anni di vita (“Convenzione dei diritti dell’infanzia”, adottata dall’ONU nel 1989).
La tutela dell’alimentazione del minore
Non si può realisticamente pensare che il consumo per 5 giorni alla settimana (nelle scuole dell’infanzia e primarie a tempo pieno) di panini, insaccati e merendine durante la pausa pranzo garantisca <un’alimentazione sana ed adeguata al raggiungimento del massimo della salute ottenibile (European social Charter 1996). Quindi sembrano sussistere fondate e valide motivazioni sanitarie e sociali a tutela di una scelta alimentare corretta e sana a favore del minore. Affermare poi che il periodo refezione scolastica è <collaterale> alla funzione educativa è un errore pedagogico evidente: il periodo mensa fa parte, è intrinseco alla funzione educativa complessiva che si compone di varie fasi, tutte egualmente importanti.
Da ultimo non appare significativo che lo studente possa consumare <merendine> durante la mattina in quanto tale consumo avviene durante la pausa delle lezioni e non nel periodo mensa di, lo ripetiamo, competenza esclusiva del Comune, con conseguenti obblighi e responsabilità a carico dello stesso.