Approfondimento a cura dell’Avvocato Maurizio Lucca su una sentenza della Cassazione che fornisce chiarimenti sulla natura del certificato di destinazione urbanistica.


Il comma 2, dell’art. 30, Lottizzazione abusiva, del DPR 380/2001, stabilisce che nei contratti «in forma pubblica sia in forma privata, aventi ad oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni sono nulli e non possono essere stipulati né trascritti nei pubblici registri immobiliari ove agli atti stessi non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata», disponendo, altresì, al comma 3, che il CDU «deve essere rilasciato dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale entro il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della relativa domanda. Esso conserva validità per un anno dalla data di rilascio se, per dichiarazione dell’alienante o di uno dei condividenti, non siano intervenute modificazioni degli strumenti urbanistici» [1], segnando – nella sua essenzialità – la presenza o meno di limiti per l’edificazione (destinazione del terreno/fabbricato, indice di fabbricabilità, vincoli).

Il CDU – Certificato di destinazione urbanistica

Il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo della regolamentazione cui è soggetta una determinata area non avendo di natura provvedimentale [2], disponendo unicamente sulla base dei piani urbanistici, non potendo considerare le pattuizioni tra le parti private.

In effetti, un tal atto è rilasciato, sulla base di consolidati documenti ed atti, collazionati nel tempo e nella disponibilità dell’Amministrazione, quale depositaria ufficiale degli stessi, che indi “certifica” (ossia, rende certi) la condizione giuridica dei terreni, qual risulta in base al contenuto di atti pubblici preesistenti.

Esso è diretto ad effettuare una ricognizione della qualificazione urbanistica dell’area, con le indicazioni delle previste prescrizioni, per come attribuita dagli strumenti urbanistici generali e connesse varianti: il certificato di destinazione urbanistica, alla sua piana lettura, riepiloga nel dettaglio la disciplina urbanistica ed edilizia territoriale, dando per verificati i presupposti della stessa.

Rientra nella categoria degli atti di certificazione, redatti dal pubblico ufficiale, aventi carattere dichiarativo [3], ossia certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti e formati dalle preposte Autorità pubbliche, talché assurge a atto dichiarativo e/o ricognitivo di fatti materiali o qualità obiettive, che risultando da pubblici registri o documenti ed è munito della correlata fede privilegiata [4].

Il certificato di destinazione urbanistica avente, quindi, carattere dichiarativo o certificativo del contenuto di atti pubblici preesistenti non può essere sussunto nella categoria del “documento amministrativo”, così come definito dall’art. 22, lett. d) della legge n. 241/1990 e s.m.i., in materia di accesso agli atti («ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale»), costituendo l’esercizio di una funzione dichiarativa o certificativa sulla base degli atti di strumentazione urbanistica [5].

Giurisdizione

Rientra nella giurisdizione dell’AGO una controversia avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti di un Ente locale da un soggetto che, sulla scorta del rilascio di un certificato di destinazione urbanistica dal contenuto non corrispondente alla realtà, è stato indotto all’acquisto di un terreno qualificato erroneamente come edificabile.

Infatti, il rilascio del certificato di destinazione urbanistica integra gli estremi non già dello svolgimento di una qualsivoglia attività provvedimentale della PA, bensì del comportamento del funzionario, riconducibile all’Ente di appartenenza, astrattamente idoneo a risolversi in un illecito civile, con la conseguenza che spetta al giudice ordinario la cognizione (e l’accertamento in concreto) della sussistenza e della tutelabilità, sul piano risarcitorio, delle posizioni di diritto soggettivo che si assumono lese in tali fattispecie [6].

Pronunciamento

La sez. III Civile, della Corte di Cassazione, con l’ordinanza 11 marzo 2025, n. 6469 (Est. Gorgoni), conferma la natura del certificato di destinazione urbanistica, dichiarando, altresì, l’inammissibilità di una richiesta risarcitoria di un CDU “erroneo”, quando invece al momento del rilascio riportava la corretta destinazione dei terreni successivamente gravati da un vincolo, atteso che le prescrizioni generali (quelle che contengono vincoli e destinazioni) una volta approvate e pubblicate hanno un’efficacia assistita da una presunzione legale di conoscenza da parte dei suoi destinatari.

Il fatto

In primo grado, il Comune veniva condannato a titolo risarcitorio per avere – con grave negligenza – taciuto nel certificato rilasciato che l’area, cui si riferiva il certificato, risultava assoggettata a nuovi vincoli idrogeologici che l’avevano privata della vocazione edificatoria e per avere di conseguenza indotto l’attore, completamente ignaro, ad acquistare il terreno come edificabile, pur essendo alla data dell’atto di acquisto privo di detta qualità.

La Corte d’appello accoglieva l’impugnazione del Comune avverso la sentenza del Tribunale, ritenendo che l’assoggettamento dell’area a vincolo urbanistico di carattere idrogeologico era stato disposto con uno strumento urbanistico, il Piano Generale del Territorio, che, una volta approvato e reso pubblico ha valore di prescrizione generale a contenuto normativo con efficacia erga omnes, come tale assistito da una presunzione legale di conoscenza, donde veniva respinta la domanda risarcitoria con condanna alle spese a favore del Comune.

La decisione

Il ricorso principale viene dunque dichiarato inammissibile:

  • le statuizioni del Giudice d’Appello sono basate sulla portata dei vincoli, inseriti nelle previsioni del Piano Generale del Territorio (PGT), chiarendo che – una volta approvati e pubblicati – hanno valore di prescrizione generale a contenuto normativo con efficacia erga omnes, come tale assistita da una presunzione legale di conoscenza da parte dei destinatari;
  • ne consegue che nessun rimprovero può essere mosso al giudice di merito di avere fatto ricorso ad una norma di diritto errata, perché spintovi da una inesatta sussunzione della vicenda concreta in quella astratta regolata dalla norma di diritto, originata da una fallace ricostruzione dei fatti di causa (la critica avrebbe dovuto essere prospettata in modo diverso e allegata la prova della mancata pubblicazione all’epoca in cui era stata posta in essere la compravendita);
  • nel certificato (CDU) è infine riportato solo uno stralcio da cui non si evince affatto che il Comune avesse certificato (come pretende il ricorrente) l’edificabilità delle aree, ma perché è lo stesso ricorrente a evidenziare che, secondo il Piano per l’assetto Idrogeologico (PAI), quei terreni erano già assoggettati a vincoli che ne escludevano la edificabilità, con la conseguenza giuridica che l’area era soggetta a vincoli di inedificabilità (ergo assistito dalla presunzione legale di conoscenza).

La sentenza conferma pertanto la regolarità della certificazione urbanistica dove la presenza di vincoli, anche se solo in sede di adozione (con l’intervento delle misure di salvaguardia), espone le aree a limitazioni di edificabilità in funzione del vincolo, vincolo (una volta apposto e reso conoscibile con la pubblicazione) che presume una conoscenza indistinta (generale) non potendo eccepire l’erroneità del CDU, avendo il Piano per l’assetto idrogeologico una forza giuridica pari agli altri Piani di assetto del territorio, compresa la loro efficacia.

Note

[1] Sull’obbligo del rilascio, vedi, TAR Campania, Napoli, sez. II, 12 febbraio 2019, n. 766.

[2] Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 2016, n. 476; 26 agosto 2014, n. 4306; 4 febbraio 2014, n. 505. Il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, atteso che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno provveduto a determinarla.

Ciò comporta che l’eventuale erroneità del certificato non può incidere sulla legittimità dei provvedimenti successivamente emanati dall’Amministrazione sulla base di una corretta ricognizione dei presupposti di fatto e di diritto, TAR Liguria 30 marzo 2021, n. 277, idem TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 6 marzo 2012, n. 2241. Gli eventuali errori in esso contenuti potranno essere corretti dalla stessa Amministrazione, su istanza del privato, oppure quest’ultimo potrà impugnare davanti al giudice amministrativo gli eventuali successivi provvedimenti concretamente lesivi, adottati sulla base dell’erroneo certificato di destinazione urbanistica, TAR Veneto, sez. II, 9 luglio 2021, n. 913.

[3] Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2023, n. 1182 e 26 agosto 2014, n. 4306.

[4] TAR Puglia, Bari, sez. III, 25 febbraio 2025, n. 272, il CDU ha un carattere insito a tutte le certificazioni, anche lato sensu intese, è che trattasi di mezzi o, per meglio dire, di strumenti, che hanno una loro peculiare attitudine probatoria, con riferimento alle qualità, o ai rapporti, o alle circostanze riferite negli stessi.

[5] TAR Sicilia, Catania, sez. I, 24 maggio 2012, n.1317. Pertanto, il suo rilascio non può avvenire nelle forme del diritto di accesso, ma secondo le specifiche fonti normative, legislative e regolamentari, che precipuamente riguardano tali tipi di atti amministrativi, TAR Piemonte, sez. II, 18 giugno 2016, n. 887.

[6] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 24 aprile 2012, n. 687.