Perseguitare una persona tanto da costringerla a cancellare il proprio profilo da Facebook è stalking.
Questo il giudizio espresso da una recente sentenza della Cassazione, sent. n. 55041/16. Il reato di stalking si configura quando un soggetto perseguita un’altra persona fino al punto di provocargli uno stato di ansia continuo o uno stato di paura per la propria incolumità al punto di costringerlo a cambiare le proprie abitudini di vita quotidiana.
Secondo i giudici anche la cancellazione dal sociale è una «prova provata» dell’esistenza dello stalking, perché manifesta uno dei tre effetti – richiesti dal codice penale – per poter arrivare a un giudizio di colpevolezza. In pratica si tratta di un evento che deve essere considerato significativo di un cambiamento delle abitudini di vita a cui la parte lesa viene costretta in ragione delle condotte dell’aggressore.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma.