Potrebbe sembrare ripetitivo parlare dell’ennesimo caso di maltrattamenti di alunni in una scuola elementare, tuttavia è utile per incentivare l’Opinione Pubblica a superare quella sterile reazione improntata a indignazione, processi sommari e gogna mediatica che determinano esclusivamente l’aumentare dei casi, in gravità e frequenza, a spese di vittime innocenti.
Non si tratta dunque, come taluni scioccamente insinuano, di “giustificare” ad ogni costo atteggiamenti scellerati, ma di comprendere cause e ragioni scientifiche di un fenomeno in forte crescita, per poterlo neutralizzare ab origine.
Il caso in esame è quello riportato sulle pagine della cronaca milanese del Corriere della Sera del 20.10.16, in cui “una maestra di 60 anni, sottoposta a controllo con telecamere nascoste, inveiva urlando contro alcuni alunni e li umiliava strappando pagine o lanciando i quaderni”. Probabilmente il clima respirato nella classe era di paura, ma anche la disciplina risultava garantita. Alcune mamme – prosegue l’articolo – avevano denunciato gli episodi alla IV Sezione della Squadra Mobile riferendo anche di sintomatologie e somatizzazioni che i bambini avrebbero presentato in seguito alle angherie della maestra: tic nervosi, incubi notturni, febbre, conati di vomito, paura.
Diversamente dai casi finora proposti dalla cronaca, a causa di una probabile “fuga di notizie” nell’indagine, le videoregistrazioni erano durate “solamente” due settimane anziché alcuni mesi come al solito. Torna utile a questo proposito richiamare quanto già ebbi occasione di scrivere in precedenti articoli circa la lunghezza delle indagini con telecamere nascoste: quanti di noi, videosorvegliati inconsapevolmente per mesi, uscirebbero immuni dal controllo piuttosto che essere ritenuti meritevoli di un TSO? Dunque la lunghezza delle videoriprese è una delle variabili fondamentali e dovrebbe avere di per sé un limite temporale, altrimenti si finirebbe col provare tutto e il contrario di tutto. Tornando al caso in esame, la documentazione acquisita era verosimilmente ritenuta sufficiente dal PM per ottenere un’immediata sospensione della maestra, tuttavia – qui interveniva il primo colpo di scena – il GIP rigettava la richiesta di sospensione poiché “il comportamento della donna, seppure censurabile, non si configura come reato di maltrattamento”.
Il giudizio sulla scuola restava comunque severo: “Rimane di tutta evidenza la necessità impellente che nella scuola vengano adottati dai dirigenti i provvedimenti necessari per richiamare all’ordine la maestra. Non risulta opportuno che continui a esercitare e – secondo colpo di scena – considerata l’esasperazione, si consiglia il pensionamento anticipato”. Il richiamo al dirigente era poi del tutto appropriato per almeno due motivi: a) le grida ai bambini, segno inequivocabile dell’esaurimento della maestra, potevano essere avvertite da tutti anche a considerevole distanza; b) è per legge a carico del dirigente scolastico la tutela della salute dei docenti nonché la prevenzione dello Stress Lavoro Correlato degli insegnanti stessi (art. 28 DL 81/08).
Il PM tuttavia non mollava la presa e faceva appello contro il parere del GIP, rivolgendosi al Tribunale del Riesame che accoglieva il ricorso e sospendeva la maestra per un anno, accusandola di aver diviso la classe in due partiti: “buoni” e “cattivi”.
Riflessioni
Il GIP ritiene “censurabile il comportamento della maestra che non può comunque essere configurato come maltrattamento” e, senza conoscere i dati sulle malattie professionali dei docenti, individua il vero responsabile del fatto: l’esasperazione della donna oramai sessantenne. Conseguentemente suggerisce il giusto rimedio alla spiacevole vicenda, invitando chi di dovere a prepensionare l’attempata maestra affinché smetta di esercitare la professione, a vantaggio della piccola utenza e a tutela della sua salute. Da un giudice ci saremmo legittimamente aspettati una sentenza, la sospensione, eventualmente una condanna, oppure gli arresti domiciliari o il carcere, invece stavolta si è proditoriamente avventurato a suggerire il “prepensionamento” per l’imputata psicofisicamente “esaurita”. La circostanza potrebbe sembrare curiosa se, proprio in questi giorni, anche il governo non avesse ritenuto opportuno abbattere a 63 anni l’età pensionabile anticipata per gli insegnanti, rivisitando di fatto la legge Fornero. Dal provvedimento governativo risulterebbero poi favorite (senza però che nessuno mostri dei dati scientifici a supporto) le maestre della Scuola dell’Infanzia che potrebbero accedere al prepensionamento senza incappare in penalizzazioni economiche come avverrà invece per gli altri docenti. Il GIP ha infine completato la sua egregia opera di riflessione a tutto tondo richiamando il dirigente al suo dovere di intervenire.
Peccato che tutto il ragionamento fin qui condotto dal GIP sia stato vanificato dal PM prima e dal Tribunale del Riesame poi: avremmo potuto andare lontano e risalire alla radice dei mali, anziché concentrarci ancora una volta sull’ennesimo episodio senza comprenderne le cause. I casi di maltrattamenti di piccoli alunni continuano a crescere in numero e frequenza (67 negli ultimi 7 anni) senza che alcuno alzi la testa e cerchi di comprendere la vera natura del problema: non si vogliono riconoscere le diagnosi psichiatriche come malattie professionali degli insegnanti; non si effettuano studi scientifici pur disponendo di dati nazionali all’Ufficio III del Ministero Economie e Finanze; non si attua la prevenzione delle malattie professionali stesse e non la si finanzia nonostante il dettato dell’art.28 del DL 81/08; non si formano i dirigenti circa le loro incombenze medico-legali; non si informano i docenti sui rischi professionali per la loro salute; e soprattutto si riforma la previdenza al buio, senza valutare la salute della categoria professionale in base a età anagrafica e anzianità di servizio.
Azzardando un’analogia potremmo dire che in questa vicenda il PM rappresenta colui che predilige una visione “a cannocchiale”, cioè esclusivamente circoscritta all’episodio, mentre il GIP è colui che contempla lo scenario con visione panoramica. Nel primo caso arriveremo a punire sistematicamente tutti gli insegnanti rei di maltrattamenti sugli alunni, mentre nel secondo giungeremo gradualmente a comprendere le responsabilità vere e i correttivi da apportare al sistema.
Tutti i giudici dovranno comunque porsi per il futuro almeno queste elementari domande:
1. Perché si verificano sempre più casi di maltrattamenti da parte di insegnanti con alta età anagrafica ed elevata anzianità di servizio?
2. Quali sono le malattie professionali degli insegnanti e perché non sono state ancora riconosciute ufficialmente pur disponendo attualmente di dati che vedono le diagnosi psichiatriche (70%) come prima causa di inidoneità all’insegnamento?
3. Perché non si finanzia e conseguentemente non si attua la prevenzione dello Stress Lavoro Correlato nelle scuole ai sensi dell’art. 28 del DL 81/08?
4. Perché i dirigenti scolastici non sono mai stati formati in materia di tutela della salute dei docenti, così come previsto dal DM 382/98, e non sanno cosa fare in casi come questo?
5. Perché si continua a operare riforme previdenziali senza effettuare alcuna valutazione della variabile “salute” del lavoratore che è inversamente proporzionale all’età anagrafica e all’anzianità di servizio? Come è stato possibile fare ciò dopo l’approvazione del Testo Unico sulla salute dei lavoratori (DL 81/08)?
6. Chi deve pagare gli errori annunciati di queste riforme previdenziali “al buio” che costringono a costose e repentine rettifiche e retromarce?
Conclusione
Siamo dunque certi che l’insegnante sia il vero colpevole? Non è piuttosto l’ultimo e più debole anello della catena cui addossare (e far pagare) ogni colpa? Ma se proprio vogliamo condannarlo senza appello, chiediamoci prima chi sono coloro che irresponsabilmente non applicano leggi fondamentali o ne hanno fatto un uso distorto.
Per capire la vera essenza della questione in gioco, occorre alzare lo sguardo e posare il cannocchiale: questo ha fatto il GIP che ha subito trovato il bandolo della matassa pur non possedendo particolari nozioni medico-legali o di previdenza. A lui vanno i più sentiti ringraziamenti perché riaccende in tutti i docenti la speranza che scuola e famiglia ricominceranno un giorno a collaborare.
Non riusciremo a garantire l’incolumità dei nostri figli con l’installazione di telecamere, mentre saremo vincenti solo contribuendo a tutelare la salute degli insegnanti e restituendo loro piena fiducia e dignità. E’ proprio la cronaca nera, impietosa, a raccontarci che asili e scuole sono luoghi certamente più sicuri delle mura domestiche, dove gli episodi incresciosi a danno dei più piccoli trascendono di gran lunga i reati di maltrattamento e abuso dei mezzi di correzione.