Il documento de La Buona Scuola ha il merito di tracciare dei percorsi di innovazione significativi e di prospettiva, ma lascia ambigui diversi punti e dimentica alcune questioni importanti, dall’organizzazione al modello di classe al rapporto scuola-università.

Il documento de La Buona Scuola, che si presenta come documento programmatico per la futura riforma, ha l’indubbio pregio di cercare di tracciare un quadro strategico e di prospettiva e allo stesso tempo di considerare la comunicazione come un ingrediente di base del percorso di cambiamento.  Sono due elementi per nulla scontati nel normale agire politico e che sono mancati, e non senza danni, sia nella proposta di riforma della PA sia in quella di riforma del lavoro. E quindi sono elementi da sottolineare positivamente.

Rimanendo al livello dell’impostazione dell’iniziativa, è anche senz’altro importante la scelta di avviare una consultazione a più livelli (dal questionario ai commenti, alle proposte, ai suggerimenti di nuovi obiettivi e progetti) e ibrida (online e in presenza, in eventi dedicati e nelle riunioni previste nelle scuole), aprendo il ventaglio dei possibili contributi e dando il messaggio che a una tale ampiezza non può che conseguire una riflessione e una valutazione effettiva e non superficiale. Si è invertita, così, la rotta rispetto alle ultime consultazioni via email, tornando allo spirito del sito web istituzionale partecipa.gov.it, senza però considerarlo (in realtà è “il portale delle consultazioni pubbliche”) e rimanendo, purtroppo, nella logica “un sito diverso e una modalità diversa per ciascuna consultazione”.

Un’impostazione con questi elementi positivi fa ben sperare, per cui anche i contributi di un articolo possono avere speranza di essere valutati con attenzione, ed è per questo che preferisco riservare lo spazio maggiore al contributo critico, più utile al miglioramento della proposta di riforma. Senza tralasciare di sottolineare, sempre sui temi dell’innovazione dal digitale, la positività di molte proposte specifiche.

Principali elementi positivi

Molti sono gli elementi di innovazione positiva. Per citarne alcuni:

  • l’enfasi che viene posta sulle reti di scuole, viste come punta di avanguardia della nuova scuola;
  • l’importanza attribuita al problema delle infrastrutturazione delle scuole;
  • la sottolineatura sulla necessità di semplificare e razionalizzare i processi amministrativi e allo stesso tempo di favorire lo sviluppo completo dell’autonomia scolastica, ancora oggi più sulla carta che effettiva;
  • la direzione indicata sulla formazione, finalmente obbligatoria e legata ad un sistema di crediti, oltre che ad un “quadro di competenze” che riguarda sia i docenti che i dirigenti (pur senza citare il servizio di “aggiornamento professionalità” già istituito) e a modalità che dovrebbero privilegiare il trasferimento di esperienze nella logica della peer-education (come già nel Piano Nazionale Scuola Digitale);
  • l’identificazione di figure di sistema, come il docente mentor o il docente di riferimento sul digitale;
  • la spinta all’apertura verso il territorio, tramite convenzioni e attività collaborative con associazioni e imprese, anche sfruttando i meccanismi e le risorse del servizio civile, con più obiettivi: dalle scuole aperte alle attività laboratoriali, all’alternanza scuola-lavoro;
  • l’ingresso dalla porta principale del “coding” visto (almeno, così ho interpretato) come enfasi sulla cultura informatica e sulla necessità dell’atteggiamento proattivo verso le tecnologie mediali;
  • la focalizzazione sul tema delle nuove competenze e delle nuove figure professionali come un nodo principale per l’inserimento nel mondo del lavoro e la lotta alla disoccupazione (da cui l’alternanza scuola-lavoro e la mappatura della domanda di competenze da parte del mercato);
  • l’attenzione, in generale, sia in termini di linguaggio che di iniziative, alle nuove caratteristiche e alle nuove esigenze della nostra società, dalla collaborazione e dalla partecipazione (vedi proposta sul bilancio partecipativo e sugli open data, sulla “scuola in chiaro 2.0”) alle palestre dell’innovazione, alla spinta alla creatività (di cui un esempio è l’hackathon sugli open data).

Principali elementi sui quali intervenire

Rispetto  ai punti trattati nel documento credo che alcuni possano essere oggetto di maggiore approfondimento o revisione:

  • competenze del personale. Se è positiva l’attenzione alle competenze di docenti e dirigenti, parlare solo di “quadro delle competenze” e di curriculum rischia di essere un passo incompleto nella giusta direzione. Sappiamo, infatti, che solo un sistema di gestione delle competenze (e quindi l’aggiornamento continuo delle competenze, dei profili e della mappatura delle competenze di tutto il personale) può consentire un governo sistemico e non occasionale delle attività formative e di sviluppo. Ma questo passaggio implica anche competenze specialistiche, responsabilità e compiti maggiori (a livello di scuola, di rete, di Miur) per la gestione del sistema e per l’effettuazione di significativi e periodici bilanci di competenza;
  • tutor per il digitale. Come ha già notato Paolo Ferri, l’identificazione di un docente “catalizzatore” per l’innovazione didattica per tutta una rete di scuole rischia di essere insufficiente e un passo indietro rispetto alla proposta di legge di Anna Ascani. Tra l’altro, senza la previsione di “task force” territoriali di supporto alle innovazioni il disegno complessivo sembra molto debole;
  • tecnologie per la didattica. L’utilizzo delle LIM viene liquidato con una battuta come emblema di “tecnologie pesanti” e quindi, implicitamente, da abbandonare. Da una proposta ci si aspetta di più: che tenga conto e affronti la situazione attuale (il Piano Nazionale Scuola Digitale, con i progetti classi 2.0 e scuola 2.0) e i risultati e le esperienze conseguite. Tra queste, anche quelle, soprattutto in ambito di scuola primaria, con le LIM. Che poi si possa fare una scelta verso tecnologie leggere e meno costose, come quelle abilitate dal sistema operativo WiildOs, è più che auspicabile, ma liquidare così il tema dell’utilizzo delle Lim, importante per la didattica innovativa e ricco di un importante pregresso, è un errore grave di metodo e di merito. Forse avrebbero giovato, nei “cantieri del Miur” in cui è maturato il documento, maggiori contributi da parte di chi poteva portare esperienze in questo campo, e nella scuola primaria in particolare;
  • ambiguità – le piattaforme per il riuso e la consapevolezza digitale. Ci sono qui e là (probabilmente per problemi di spazio) punti ambigui o poco chiari, su cui è opportuno precisare e chiarire. Solo per fare due esempi: parlando di riuso e condivisione delle esperienze, viene scritto “il MIUR non deve commissionare o acquisire una piattaforma” ma “Insieme alle reti di scuole, deve sviluppare uno spazio neutro e aperto, e usare i docenti e il personale della scuola non come meri destinatari finali, ma come co-gestori delle piattaforme”. A parte l’infelice scelta del termine “usare”, dovrebbe essere evidente la differenza tra la realizzazione di una piattaforma e la sua gestione e quindi l’ambiguità di tutta la proposta. Allo stesso modo quando si tratta, forse un po’ sinteticamente, dellaconsapevolezza digitale insieme all’introduzione del tema dei “digital makers”,  declinando una proposta di insegnamenti sulla prima area per le scuole secondarie di primo grado e per la seconda nelle scuole superiori di secondo grado. Come se consapevolezza e creatività non fossero aspetti diversi, ed entrambi da curare in tutti gli ordini e gradi di scuola.

Quello che manca

Ci sono poi degli aspetti non trattati, e che invece in questo documento sarebbe bene trovassero uno spazio adeguato, anche perché altrimenti il quadro d’insieme sembra mancare:

  • la questione organizzativa, che credo sia fondamentale e che altrove ho approfondito, è in gran parte elusa. Non si comprende in che modo cambierà il Miur (comprese le sue articolazioni, come gli Uffici Scolastici Regionali o l’Indire) per supportare e accompagnare un cambiamento così diffuso sulle scuole. Non una parola. Si citano molto le reti di scuole, ma non si comprende se saranno solo fenomeni volontari, come avviene adesso, o un indirizzo esteso a tutte le scuole, se saranno, come molti si auspicano, dei soggetti intermedi riconosciuti e con proprie funzioni stabili (di formazione, di condivisione di contenuti didattici e buone pratiche, e forse anche di valutazione), oppure saranno definiti di volta in volta secondo i progetti avviati. Eppure è uno dei cardini del cambiamento possibile;
  • il modello di classe e di scuola, viste anche le nuove competenze che devono acquisire i docenti e le nuove attività previste. Andiamo verso un modello di sempre maggiore specializzazione, anche nella scuola primaria? E qui, si ritorna alla logica del team di docenti o si rimane nella logica del maestro prevalente? Anche con l’introduzione di ulteriori laboratori, l’indirizzo è quello di  andare verso le classi aperte che si è sperimentato in diversi Istituti Superiori? La rimodulazione degli spazi-aula e degli spazi-scuola è un punto fondante della nuova scuola o ciascuno potrà optare per la scelta (o la non scelta) che ritiene migliore?
  • la relazione scuola-università, qui del tutto assente. Mentre si tratta con accuratezza il tema degli Istituti professionali, non è mai affrontato il tema (cruciale) del passaggio e della relazione tra scuola secondaria superiore e università. Eppure, ad esempio, la mancanza di laureati nelle materie scientifiche è un tema che viene dichiarato importante;
  • la relazione con gli altri attori ed enti di territorio. A parte l’affermazione sull’importanza delle scuole aperte e dei legami con associazioni e imprese, non sembra esserci una proposta per far sì che le collaborazioni a livello di territorio possano essere di sistema. Nessuna citazione, ad esempio, di una relazione con le amministrazioni o con altre istituzioni, di una programmazione socio-culturale di territorio.

In generale, sembra da rivedere la scelta dei confini della proposta, focalizzata solo sulle scuole, ma senza considerare tutto il Miur, e non in una visione integrata con altri ministeri e altre istituzioni. Invece, l’innovazione passa anche da qui. Dalla capacità di dare forza alla scuola come una delle principali infrastrutture del Paese, ma anche dalla consapevolezza che questa si esprime soltanto con la massima apertura e integrazione a livello di partecipazione e anche di indirizzo e programmazione.

Un ottimo documento, un’ottima base di partenza, che può diventare un’ottima piattaforma di riforma, se supera le carenze e le ambiguità attuali. La consultazione, da poco partita, è uno dei banchi di prova di questo percorso: il suo successo dipende dalla capacità di chi l’ha promossa di integrare i contributi, di rivedere le scelte e di superare le esclusioni.

 

 

FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)

AUTORE: Nello Iacono

 

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