Troppe visite fiscali possono costituire mobbing? Ecco un approfondimento relativo al quadro normativo e giurisprudenziale.


Il controllo dello stato di malattia del lavoratore è un diritto del datore di lavoro, ma cosa accade quando le visite fiscali diventano eccessivamente frequenti? Quando l’invio reiterato del medico fiscale può essere considerato un abuso? E in quali circostanze potrebbe configurarsi come una forma di mobbing o straining? Attraverso l’analisi della normativa vigente e della giurisprudenza, esamineremo i criteri che determinano la legittimità di queste richieste e i possibili profili di responsabilità per il datore di lavoro.

L’invio del medico fiscale: un diritto del datore di lavoro

Il datore di lavoro ha facoltà di richiedere la visita fiscale per accertare lo stato di malattia del dipendente, in conformità con l’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori, l. 300/1970. Tuttavia, la richiesta non garantisce automaticamente l’effettuazione della visita, poiché l’INPS procede compatibilmente con la disponibilità del proprio personale medico.

Esiste un limite al numero di visite fiscali?

Non vi è un tetto massimo stabilito dalla normativa per il numero di controlli che il datore può richiedere. Tuttavia, il principio di correttezza e buona fede deve sempre essere rispettato. Se l’invio ripetuto delle visite ha un intento punitivo o intimidatorio – ad esempio, con controlli quotidiani non giustificati da esigenze concrete – la condotta potrebbe risultare illegittima e configurare una forma di pressione indebita assimilabile al mobbing, ossia una condotta sistematica e reiterata nel tempo, posta in essere dal datore di lavoro o dai colleghi (nel caso del mobbing orizzontale), con lo scopo di emarginare, danneggiare o umiliare un lavoratore. Affinché sia configurabile, devono sussistere tre elementi fondamentali:

  • continuità e durata: non è sufficiente un singolo episodio, ma una serie di atti vessatori protratti per un periodo significativo (indicativamente almeno sei mesi);
  • intento persecutorio: deve emergere un intento deliberato di nuocere al lavoratore;
  • danno effettivo: la condotta deve aver provocato un danno concreto alla salute fisica o psichica del dipendente o alla sua dignità professionale.

Differenza tra mobbing e straining

Lo straining è una forma attenuata di mobbing che si manifesta attraverso episodi di forte stress lavorativo, anche isolati, ma di particolare gravità. A differenza del mobbing, in questo caso non è necessario dimostrare l’intento persecutorio del datore di lavoro, potendo derivare anche da disorganizzazione o negligenza.

L’invio ripetuto del medico fiscale può costituire mobbing o straining?

L’esercizio del diritto di controllo datoriale, di per sé, non costituisce un illecito. Tuttavia, può assumere rilevanza patologica se accompagnato da elementi di vessazione, quali:

  • ripetitività ingiustificata: visite fiscali richieste con frequenza eccessiva senza un reale motivo, come controlli quotidiani per malattie di breve durata o immediatamente successivi alla comunicazione dell’assenza;
  • condotte vessatorie concomitanti: oltre alle visite fiscali, il lavoratore subisce contestazioni disciplinari pretestuose, demansionamento o isolamento;
  • finalità persecutoria: l’obiettivo del datore di lavoro sembra essere quello di dissuadere il dipendente dal fruire del diritto alla malattia o punirlo per averlo esercitato.

Le tutele riconosciute

Il lavoratore che subisce mobbing gode di una serie di tutele riconosciute dall’ordinamento giuridico.

Il lavoratore che intende ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal mobbing può agire in giudizio facendo valere la responsabilità contrattuale o extracontrattuale del datore di lavoro o dei colleghi responsabili delle condotte vessatorie.

L’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore, adottando tutte le misure necessarie per garantire un ambiente di lavoro sicuro e rispettoso. Qualora il datore di lavoro ometta di vigilare e prevenire comportamenti vessatori nei confronti di un dipendente, si configura un inadempimento contrattuale.

Quando il mobbing è perpetrato da colleghi di pari grado o superiori diversi dal datore di lavoro, il lavoratore può agire per responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.

In questo contesto, il lavoratore può anche agire contro il datore di lavoro per responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c., se il mobbing è stato perpetrato da dipendenti sotto la sua direzione.

Risarcimento

Il risarcimento può riguardare sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale.

I danni patrimoniali comprendono le spese mediche sostenute per le conseguenze psicofisiche del mobbing, la perdita di retribuzione, i mancati avanzamenti di carriera o altre perdite economiche subite a causa delle condotte vessatorie. I danni non patrimoniali invece includono il danno biologico, il danno morale e il danno esistenziale.

Oltre all’azione risarcitoria, il lavoratore ha a disposizione ulteriori strumenti per difendersi dal mobbing, che variano a seconda della gravità della situazione.

In primo luogo, può chiedere al giudice di emettere un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. per la cessazione immediata delle condotte vessatorie.

Dimissioni per giusta causa

Se il mobbing rende insostenibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, il lavoratore può rassegnare dimissioni per giusta causa, conservando il diritto all’indennità di preavviso e all’accesso alla NASpI (indennità di disoccupazione).

Il lavoratore può inoltre rivolgersi a:

  • responsabile dei lavoratori per la sicurezza (R.L.S.), per segnalare situazioni di rischio psico-sociale;
  • Comitato Unico di Garanzia (C.U.G.), nelle pubbliche amministrazioni, per la tutela contro discriminazioni e molestie;
  • Ispettorato del Lavoro, per avviare ispezioni e verifiche.

L’orientamento della giurisprudenza

La tesi prevalente ritiene che la richiesta di visite fiscali, in sé, non costituisca mobbing. Tuttavia, è pur sempre necessario effettuare una valutazione in concreto, tenendo conto del contesto complessivo e delle modalità con cui il controllo viene esercitato.

Ad esempio, il Tribunale di Monza, con la sentenza n. 139/2021, ha chiarito che l’invio ripetuto del medico fiscale non può essere automaticamente considerato una forma di mobbing, a meno che non sia rivolto in maniera selettiva contro un singolo lavoratore. Se tali controlli rientrano in una prassi aziendale applicata indistintamente a tutti i dipendenti, la condotta del datore di lavoro è da considerarsi legittima.

Diversamente, il Tribunale di Teramo, nella sentenza n. 248/2023, ha evidenziato come anche atti apparentemente leciti, come le visite fiscali, possano assumere una connotazione persecutoria qualora si inseriscano in un più ampio disegno volto a isolare o danneggiare il dipendente. In questi casi, il reiterato ricorso a controlli medici potrebbe costituire un elemento rilevante per configurare il mobbing.

Infine, il Tribunale di Mantova, con la sentenza n. 17/2020, ha sottolineato che non è sempre necessaria una serie di comportamenti per integrare una condotta illecita. Anche un singolo episodio, se particolarmente gravoso o lesivo per il lavoratore, può essere sufficiente a configurare lo straining.