Secondo un recente parere dell’Aran lo spostamento di un dipendente pubblico dalla sede di coworking alla sua abituale sede di servizio non può essere classificato come trasferta.
Il parere CFC139 del 27 settembre 2024 si inserisce all’interno del quadro normativo definito dal CCNL Funzioni Centrali del 9 maggio 2022, che ha introdotto nuove forme di lavoro a distanza con l’obiettivo di promuovere una migliore conciliazione tra vita privata e professionale per i dipendenti pubblici, oltre a potenziare l’efficienza dei servizi resi alla cittadinanza.
Nel comparto Funzioni Locali, questo aspetto è regolato invece dall’art. 68 del contratto 16 novembre 2022 che specifica che il lavoro da remoto è reso:
- nel tempo, con gli stessi vincoli del lavoro in presenza
- nello spazio invece, attraverso una modificazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa, che comporta l’effettuazione della prestazione in luogo idoneo e diverso dalla sede dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato.
Questa evoluzione normativa nasce dalla crescente domanda di flessibilità nel mondo del lavoro, accentuata ulteriormente dagli effetti della pandemia, che ha accelerato l’adozione di modalità di lavoro da remoto, soprattutto nel settore pubblico.
Il lavoro a distanza in “coworking”
In questo contesto, il contratto collettivo prevede che i dipendenti possano prestare servizio, oltre che nella sede istituzionale a cui sono assegnati, anche in luoghi alternativi, individuati di comune accordo con l’amministrazione. Questi luoghi possono includere spazi di coworking, che offrono al lavoratore l’opportunità di svolgere parte delle sue attività lontano dagli uffici tradizionali, garantendo maggiore flessibilità e contribuendo a ridurre i tempi e i costi legati agli spostamenti quotidiani.
Spostamento del dipendente pubblico per “coworking” e concetto di trasferta
Il punto centrale della disciplina è che, anche se il dipendente si divide tra più sedi (quella di coworking e quella tradizionale dell’amministrazione), entrambe vengono considerate a tutti gli effetti come “sedi ordinarie di servizio”. Questo concetto riveste particolare importanza perché definisce il trattamento economico e normativo del lavoratore. In particolare, evita che gli spostamenti tra le due sedi siano considerati trasferte, le quali implicherebbero indennità aggiuntive e regimi di rimborso tipici di una mobilità temporanea e straordinaria.
L’Aran sottolinea che il viaggio tra il centro di coworking e la sede ordinaria dell’amministrazione non può essere equiparato a una trasferta poiché entrambe le località fanno parte dell’ordinaria attività lavorativa del dipendente. La trasferta, per definizione, implica uno spostamento occasionale in una sede diversa da quella abituale, con carattere temporaneo e non routinario. Nel caso del lavoro a distanza regolato dal CCNL, invece, si stabilisce un’ordinaria alternanza tra le sedi concordate, integrandole nel normale svolgimento delle mansioni del lavoratore.
Questo chiarimento, quindi, non solo offre un’interpretazione corretta delle norme contrattuali, ma fornisce anche una guida pratica per le amministrazioni pubbliche nella gestione delle politiche di mobilità dei dipendenti, assicurando al contempo la tutela dei diritti del personale e una gestione più flessibile ed efficiente delle risorse umane.