contrattoDichiarare incostituzionale la norma sul blocco dei contratti del pubblico impiego costerebbe 35 miliardi di euro (oltre 2 punti di Pil). Piu’ un effetto strutturale di 13 miliardi l’anno dal 2016.

 

E’ questa la stima depositata sul possibile sblocco dei contratti dall’Avvocatura dello Stato nelle memorie difensive contro le due ordinanze che la Consulta dovrà esaminare il prossimo 23 Giugno. Nel mirino dei giudici ci sono infatti le norme delle due maxi manovre approvate tra il 2010 e il 2011 dal Governo Berlusconi (articolo 16 del Dl 98/2011 e articolo 9 del Dl 78/2010), poi mantenute dai governo successivi che bloccano da quasi 6 anni il rinnovo della parte economica dei contratti nel pubblico impiego, una misura dettata all’epoca dalla logica dell’emergenza ma che ora deve essere vagliata dalla Corte Costituzionale.

 

Le cifre fornite dall’Avvocatura, che naturamente difende gli interessi dello Stato, appaiono come un invito alla Corte a non stralciare la norma, pena l’apertura di una voragine nei conti pubblici, ben piu’ grave della sentenza dello scorso Aprile sullo sblocco delle pensioni.  Duro il giudizio della parte sindacale che fiuta il tentativo di esercitare pressioni sulla decisione dei giudici: “Nell’udienza del prossimo 23 giugno, auspichiamo che la Corte Costituzionale non tenga conto dell’invito dell’Avvocatura dello Stato in merito al presunto impatto economico che l’eventuale rimozione del blocco dei contratti pubblici avrebbe sulla contabilità nazionale” dichiara Davide Velardi, segretario confederale Cisal per il pubblico impiego, autore, con la Fialp Cisal, del ricorso contro il blocco dei contratti poi sfociato nella questione di costituzionalità. “Il richiamo, fuorviante e lacunoso, al pareggio di bilancio previsto dall’articolo 81 della Costituzione, trascura ad esempio l’art. 36 della stessa Carta costituzionale, ove si statuisce che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro. Proporzione evidentemente non rispettata dal 2010”.

 

“La posizione dell’Avvocatura, anche a prescindere dalla conformità al precetto costituzionale, viola comunque -aggiunge Velardi- i diritti fondamentali dei lavoratori, come tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in particolare, Protocollo n. 1, art.1). Normativa di interposizione costituzionale di rango superiore alle norme della nostra Carta fondamentale”.

 

“Il blocco pluriennale dei contratti del pubblico impiego -conclude Velardi – rappresenta una tassa occulta che i lavoratori pagheranno ben oltre la ‘fase avversa del ciclo economico’, in quanto, oltre a costituire oggi un poderoso contributo alla recessione, in futuro avrà ripercussioni anche sul loro trattamento previdenziale. Quindi, una tassa per tutta la vita!”.

 

I sindacati contestano la lunghezza del blocco che si è protratto ben oltre il periodo biennale giudicato in passato “congruo” dalla stessa Corte. Con il blocco, inoltre, sono stati travolti anche i trattamenti accessori, l’indennità di vacanza contrattuale e le progressioni di carriera con risvolti negativi anche sul trattamento pensionistico del personale coinvolto. La Consulta, per tenere conto delle esigenze di bilancio, potrebbe però anche dichiarare l’incostituzionalità della norma con effetti non retroattivi mettendo cioè al riparo lo Stato da rimborsi e restituzioni. Con l’obbligo solo di sbloccare dal 2016 la contrattazione.