Il prestito pensionistico pagato dalle banche si tratta per ora dell’unica apertura arrivata dal Governo dopo diversi anni di discussione per rivedere la legge Fornero. L’Anticipo pensionistico, visti i costi delle altre proposte in campo (da quella di Cesare Damiano, 4 anni di sconto con un taglio del 2% annuo, e quella di Tito Boeri, 3 anni di anticipo con una decurtazione del 3% annuo; 8,5 miliardi solo nel 2017 la prima 3 miliardi la seconda), è quello infatti più sostenibile per le casse dello stato e che potrà più facilmente passare il vaglio di Bruxelles.
Tramite questo strumento ai lavoratori verrà erogato dalle banche (in modo tale da non gravare sull’Inps e sul deficit) un assegno provvisorio di importo ridotto pagato, che consentirà a chi lavora di andare in quiescenza uno, due o tre anni prima del termine previsto. L’assegno sarà restituito poi a rate una volta maturati i requisiti pieni per la pensione. Non a caso secondo il sottosegretario Nannicini l’APE, così l’acronimo coniato dal Premier, costerebbe solo qualche centinaio di milioni di euro.
Ma sullo sfondo restano diverse criticità che è bene evidenziare. Innanzitutto il rischio morte prematura del pensionato. Chi ripagherà la banca del prestito erogato se appena in pensione si passasse a miglior vita? Dovrebbe esserci un’assicurazione a coprire tale eventualità ma anche la stipula della polizza ha un costo. Chi lo sosterrà? Altra questione: in caso di anticipo si pagheranno o meno i contributi figurativi per il periodo di percezione dell’assegno anticipato? E ancora: chi pagherà gli interessi alla banca? Se saranno a carico del lavoratore, ipotesi probabile, il costo dell’operazione è destinato a crescere ulteriormente. Inoltre cosa accadrà se l’assegno del pensionato sarà piuttosto basso, cioè inferiore, ad esempio agli 800 euro al mese: in tal caso l’applicazione della decurtazione e dei costi accessori faranno lievitare il costo dell’operazione rendendolo sconveniente. Probabilmente in questo caso si dovranno pensare a delle penalizzazioni graduate anche in funzione del reddito.
Da segnalare, poi, che essendo poi un meccanismo tra privati la banca, in assenza di specifiche garanzie statali, potrebbe anche rifiutarsi di aderire allo schema e quindi concedere il finanziamento alle persone con maggiori rischi di restituzione del “debito”.
Se questo dovesse essere lo schema pensato dal Governo, pertanto, non siamo del tutto convinti. Si tratta a ben vedere dell’ennesimo tentativo di spostare i costi della previdenza dallo Stato ad altri soggetti, come banche, imprese e gli stessi lavoratori per cercare di far quadrare i conti con l’Ue e intanto prepararsi alle elezioni. Il rischio è che questa misura alla fine risponda alle esigenze di pochi lavoratori. In realtà sarebbe necessario rimettere un pò di denari nel capitolo pensioni per ristorare quelle categorie che maggiormente hanno pagato in questi anni come disoccupati, donne, precoci e lavori usuranti. E i giovani. L’ipotesi Damiano-Baretta (il ddl 857) ma anche quella Boeri appaiono invece proposte più ragionate ed eque sul piano sociale che dovrebbero essere prese in considerazione. Nei prossimi giorni, quando il Governo avrà messo a punto la sua proposta in modo più completo, si inizierà la discussione sulla flessibilità in uscita nella speranza che ci sia la possibilità di un confronto parlamentare.