quota-100-con-38-anni-di-contributiQuota 100, con 38 anni di contributi: i percorsi per rientrare all’interno dei requisiti e ottenere in tal modo la pensione anticipata.


In bilico la possibilità di cumulare gratuitamente la contribuzione mista. Chi non ha raggiunto i 38 anni di contributi dovrà attendere la maturazione di una quota superiore a 100. Per aiutare l’uscita si può però ricorrere al riscatto o ai contributi volontari.

 

La probabile quota 100 riaccende le speranze per l’uscita anticipata di molti lavoratori dal prossimo anno. Attualmente, come noto, tralasciando l’ipotesi ape sociale percorribile solo a diverse e numerose condizioni, il pensionamento a carico delle gestioni Inps è possibile solo al raggiungimento di 66 anni e 7 mesi unitamente a 20 anni di contributi oppure, a prescindere dall’età, con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi le donne).

 

Nel 2019 i requisiti sono previsti in ulteriore crescita di 5 mesi (salvo correttivi da qui a fine anno) a causa della speranza di vita Istat la cui entità è stata certificata alla fine dello scorso anno: ci vorranno così 67 anni per la vecchiaia e 43 anni e 3 mesi di contributi (42 anni e 3 mesi le donne) per l’anticipata. I requisiti sono ormai identici sia per le donne che per gli uomini grazie all’ultimo scalone Fornero scattato il 1° gennaio di quest’anno: sia per il pubblico impiego che per il settore privato; sia per gli autonomi che per i lavoratori dipendenti.

 

Dal prossimo anno oltre questi canali di pensionamento (che resterebbero intatti), il Governo prevede di aggiungere l’uscita con la quota 100 al perfezionamento di 62 anni e 38 di contributi. Si tratterebbe di una combinazione fissa, cioè che non ammette diversi valori rispetto alla sommatoria sopra citata. Per intenderci resteranno quindi fuori le sommatorie 63 anni + 37 di contributi; 64 + 36; 65 + 35 o 66 + 34. Chi ha meno di 38 di contributi nonostante un’età anagrafica superiore a 62 anni dovrà attendere il perfezionamento di una quota superiore per guadagnare l’uscita. Facciamo qualche esempio.

 

Il requisito minimo è di 38 anni

 

Marco è lavoratore del pubblico impiego con 64 anni e 36 di contributi; anche se ha la quota 100 (64 e 36) non soddisfa il minimo di 38 anni di contributi. Marco dovrà, quindi, attendere altri due anni per usufruire dello scivolo, quando cioè avrà raggiunto 66 anni e 38 di contributi (quota 104). Quasi l’età per andare in pensione di vecchiaia. Maria, invece, è una lavoratrice precoce con 38 anni di contributi e 60 anni di età. Anche lei non potrà accedere subito alla pensione perchè la somma tra età anagrafica e contributiva restituisce il valore 98 (60 + 38) ma avendo già raggiunto il requisito contributivo minimo potrebbe decidere di lasciare il posto di lavoro ed attendere la maturazione del requisito anagrafico oppure proseguire il rapporto di lavoro per due anni e lasciare il servizio con 62 anni e 40 di contributi (quota 102).

 

Utile anche il riscatto, in bilico il cumulo

 

Chi non ha il requisito contributivo minimo (38 anni) può valutare la possibilità di ricorrere ad un riscatto della laurea (o di altri periodi ammessi dalla legge) per ragguagliarlo. Marco, ad esempio, potrebbe anticipare l’uscita riscattando due anni del corso di laurea centrando i 38 anni con 64 anni di età ed uscire immediatamente con la quota 100. Chi ha perso il lavoro e si trova nella vicinanze del requisito contributivo minimo può, inoltre, proseguire volontariamente l’assicurazione IVS. Valerio, ad esempio, è un disoccupato con 63 anni e 37 di contributi. A regime attuale dovrebbe attendere i 67 anni per pensionarsi. Non ha periodi da riscattare ai fini pensionistici ma può pagarsi un anno di contribuzione volontaria, raggiungere i 38 anni di contributi ed attivare la quota 100.

 

Altra questione che dovrà essere sciolta è la facoltà di riunire gratuitamente i contributi misti, ad esempio quelli versati nella gestione separata. Oggi il cumulo è possibile per la pensione di vecchiaia e per la pensione anticipata (peraltro con un perimetro di azione molto ampio, potendosi conteggiare anche la contribuzione presente presso le casse professionali). Se tale facoltà, come sembra, non fosse estesa anche per integrare i 38 anni di contributi le strade si complicano, e non di poco, per coloro che non hanno avuto una carriera lineare. Ad Alberto, ad esempio, che ha 62 anni e 36 anni di contributi da lavoro dipendente nel pubblico impiego ed altri due nella gestione separata gli sarebbe preclusa l’uscita salvo non maturi altri due anni di lavoro nel pubblico impiego; mentre Francesco che ha i medesimi requisiti ma due anni nel fondo pensione lavoratori dipendenti, dovrebbe ricorrere ad una costosa ricongiunzione verso la gestione pubblica per anticipare la pensione. Insomma si tratta di un dettaglio non indifferente.

 

Gli altri lavoratori

 

Il progetto di Riforma non sembra portare grandi cambiamenti per coloro che hanno un maturato contributivo più basso, intorno ai 30-35 anni di contributi. Per questi soggetti bisognerà comprendere se ed in che misura sarà stabilizzato l’ape sociale, il sussidio di accompagnamento alla pensione dai 63 anni. Nonostante la novità restiamo ben lontani da quanto prevedeva la legislazione ante-Fornero che sino al 2011. Quella normativa consentiva la pensione di anzianita’ con 60 anni e 36 di contributi (quota 96) e, peraltro, ammetteva anche l’uscita con 61 e 35 di contributi. Nel 2019 se tutto andrà come pare voglia fare il Governo serviranno quattro anni in più.