Corte-Cassazione-4-Imc-e1461318672162La Corte di Cassazione, dopo “approfondita e condivisa riflessione”, ha affermato – con la sentenza 11868 della sezione Lavoro depositata oggi – che il licenziamento del personale del pubblico impiego non è disciplinato dalla ‘legge Fornero’, bensì dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Lo fa sapere la Suprema Corte in una nota.

 

I giudici di più alto grado segnano un punto su una questione da tempo controversa, su cui ci sono state anche sentenze di diverso orientamento. Un tema sul quale il governo, in particolare con il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha sempre tenuto a precisare come l’articolo 18 per gli statali non sia stato cambiato né dalla legge Fornero, prima, né dal Jobs act, dopo.

 

Il principio di diritto fissato dalla Suprema corte esclude che la Fornero si applichi ai licenziamenti dal pubblico: “Ai rapporti di lavoro disciplinati dal dal d.lgs 30.3.2001 n.165, art.2 (le norme generali sul lavoro pubblico, ndr), non si applicano le modifiche apportate dalla legge 28.6.2012 n.92 (riforma del lavoro Fornero, ndr) all’art.18 della legge 20.5.1970 n.300 (lo Statuto dei lavoratori, ndr), per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata legge n.92 del 2012 resta quella prevista dall’art.18 della legge n.300 del 1970 nel testo antecedente alla riforma”.

 

Per il pubblico impiego le garanzie sarebbero quindi intatte, con la reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa. Un trattamento diverso rispetto ai lavoratori privati, sostiene il ministero, perché è diversa la natura del datore di lavoro. Per mettere fine a possibili diverse interpretazioni il governo resta dell’idea di intervenire, da quanto si apprende, con una norma che chiarisca l’esclusione dei dipendenti pubblici dalle nuove regole.

 

Il verdetto ha accolto un ricorso del ministero delle Infrastrutture contro un funzionario licenziato perché faceva il doppio lavoro al quale, tuttavia, la Corte d’appello di Roma aveva riconosciuto 6 mesi di indennità risarcitoria, come prevede la legge Fornero nel caso di licenziamenti legittimi ma con violazione delle procedure di contestazione disciplinare. Il ministero nel ricorso in Cassazione aveva fatto reclamo contro i sei mesi di risarcimento. Ora il caso torna alla Corte d’appello di Roma.