Costituisce danno erariale, corrispondente alla retribuzione indebitamente percepita, la situazione in cui il dipendente pubblico accumula ingiustificati debiti orari e giorni di assenza?
La dimostrazione del comportamento illecito veniva fondata sull’analisi delle registrazioni elettroniche di ingresso e di uscita dagli uffici comunali, dalle quali era emerso che il SIAS utilizzava il “badge” per registrare gli accessi con modalità disordinate (spesso risultava la traccia elettronica del solo ingresso ovvero della sola uscita) e, in numerosi casi, la sua presenza non risultava registrata. A seguito dell’incrocio tra le presenze in servizio e il debito orario previsto dal contratto di lavoro, veniva accertato uno scompenso di 94 giorni lavorativi (per il periodo dal 7 aprile 2010 al 9 febbraio 2015), in ragione del quale il Dirigente del Settore 1 del Comune attivava nei confronti dell’imputato il procedimento disciplinare, con contestazione della ingiustificata assenza dal luogo di lavoro (art. 55 bis, comma 2, e 55 quater del D.lgs. n. 165/2001).
Nel corso del procedimento disciplinare veniva accertato che il sistema di rilevazione elettronica delle presenze aveva funzionato correttamente per tutto il periodo oggetto della contestazione; inoltre, veniva appurato che il dipendente già nel passato non aveva assolto il proprio debito orario, tanto che era stato invitato a predisporre un piano di recupero del debito lavorativo. All’esito del procedimento, con provvedimento del 16 febbraio 2016, l’Ufficio dei Procedimenti Disciplinari irrogava la sanzione disciplinare del licenziamento, con preavviso di quattro mesi. Il medesimo convenuto veniva invitato a corrispondere le somme indebitamente percepite in assenza di controprestazione lavorativa, per l’importo di euro 8.241,92 (calcolate su 94 giorni di assenza, come da nota dell’11 marzo 2016 del Dirigente del Settore 1 dell’Ente).
Il Legislatore ha via via stigmatizzato e delineato una serie di comportamenti che, ponendosi in contrasto con i valori, normativi ed etici, naturalmente insiti nel lavoro prestato alle dipendenze della P.A., assumono particolare rilevanza, anche in considerazione del detrimento che essi recano al rispetto e al prestigio dell’Amministrazione medesima, spinto anche da diverse vicende che, a più riprese, hanno interessato gli organi di stampa. In tale ottica, a voler scorrere la legislazione degli ultimi decenni, è dato rinvenire un continuo intervento normativo diretto a introdurre prescrizioni atte a fornire un adeguato monitoraggio dell’attività prestata dai pubblici dipendenti, sia in termini di produzione e di rispondenza ai bisogni collettivi, sia in termini di rispetto, imprescindibile, dei tempi della prestazione.
La giurisprudenza di legittimità, sviluppatasi in ambito penale, ha costantemente riconosciuto la funzione dei cosiddetti “cartellini segnatempo” di costituire prova della continuativa presenza del dipendente sul luogo di lavoro, nel tempo compreso tra l’ora d’ingresso e quella di uscita, ritenendo integrato il reato di truffa aggravata quando il pubblico dipendente si allontani temporaneamente dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza.
Difatti, la reiterazione delle assenze e la totale inosservanza delle chiare disposizioni destinate a regolare la presenza nel luogo di lavoro, non lasciano adito a dubbi sul fatto che il convenuto sia venuto meno, con coscienza e volontà, ai propri precisi obblighi di servizio, allorché senza alcuna giustificazione, si è assentato dal proprio ufficio. Condotta vieppiù riprovevole laddove si tenga conto della circostanza che anche in precedenza il dipendente era stato richiamato ad una più puntuale osservanza dell’orario di servizio, e la cui connotazione dolosa impedisce che possa farsi applicazione del potere di riduzione dell’addebito, come richiesto dalla difesa. L’imputato risulta, pertanto, debitore, nei confronti del Comune.
In allegato il testo completo della Sentenza.