Pensioni, ecco il tasso di rivalutazione nel 2018 relativo ai contributi. Il Ministero del Lavoro ha comunicato la variazione del tasso di capitalizzazione dei montanti contributivi.
Il Ministero del Lavoro ha comunicato ufficialmente il valore da utilizzare per rivalutare i montanti contributivi delle pensioni che avranno decorrenza a partire dal 1° gennaio 2019. Il tasso ufficiale, indicato dall’Istat è pari a 1,013478 in rialzo rispetto all’anno 2017 quando fu registrato un valore dello 0,52%. I lavoratori che andranno in pensione l’anno prossimo dovranno, pertanto, rivalutare il montante contributivo accreditato al 31 dicembre 2017 dell’1,3478%.
Mentre non si procederà ad alcuna rivalutazione dei contributi versati nel 2018, cioè l’ultimo anno di lavoro prima di accedere alla pensione. Com’è noto, infatti, in base alla riforma Dini il montante contributivo (quel tesoretto che viene annualmente messo da parte dai lavoratori con il versamento dei contributi previdenziali) viene annualmente rivalutato in base all’andamento della crescita nominale del prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni (il cd. tasso di capitalizzazione).
Pensioni: tasso di rivalutazione 2018
Il tasso di rivalutazione si applica alla parte contributiva della pensione, e quindi è importante per chi ha iniziato a versare i contributi dal 1996, perché la sua pensione sarà calcolata interamente con il metodo contributivo; è meno impattante per chi aveva meno di 18 anni di contributi nel 1995, in quanto soggetto al sistema misto (retributivo-contributivo); ed ancor meno significativo per chi aveva più di 18 anni di contributi nel 1995 dato che il metodo contributivo si applica solo ai versamenti effettuati dal 2012 in poi.
L’ammontare dei contributi che ogni anno si traduce in pensione è determinato dall’aliquota di computo che risulta pari al 33% della retribuzione percepita per i lavoratori dipendenti (per gli autonomi l’aliquota è più bassa, e risulta compresa tra il 24 ed il 25% a seconda delle gestioni previdenziali in cui risulta iscritto l’assicurato). E’ questo il valore che ogni anno deve essere rivalutato per la media quinquennale del Pil.
Nonostante la lenta ripresa il coefficiente di capitalizzazione dei montanti resta comunque molto distante dai valori pre-crisi, di oltre un decennio fa. Basti pensare che nella prima parte degli anni 2000 il coefficiente registrava incrementi annui nell’ordine del 4-5% segno di un’economia molto più vivace; quest’anno, per la prima volta dopo il 2012, siamo tornati sopra l’1% raddoppiando il valore dello 0,5% del 2017 ma restiamo ancora distanti anni luce dai valori registrati in passato.
Questa riduzione inciderà profondamente in futuro sulle prestazioni pensionistiche, soprattutto nei confronti dei giovani che hanno larga parte dell’assegno interamente determinata con il contributivo. Abbassando il tasso di sostituzione tra ultima retribuzione da lavoro e pensione su livelli piuttosto preoccupanti. E costringendo costoro a dilatare l’età di uscita dal mondo del lavoro per ragguagliare un importo pensionistico migliore.
Il meccanismo di calcolo del sistema contributivo tende, infatti, ad incrementare la prestazione offerta dal sistema pensionistico pubblico quanto più il lavoratore decide di posticipare il pensionamento. In tal caso, infatti, il lavoratore riceve l’accredito di un numero superiore di contributi e una serie di rivalutazioni più prolungate nel tempo oltre all’applicazione finale di un coefficiente di trasformazione del montante in rendita più favorevole.