La spesa per le pensioni dei dipendenti pubblici è quasi raddoppiata negli ultimi 15 anni.
Il secolo scorso si è chiuso con 37 miliardi di uscite nel 1999 che, nel 2015, sono arrivate a 67,4 miliardi di euro con un incremento dell’82%. Le entrate, che partivano quasi alla pari, con 36 miliardi, non sono riuscite a tenere il passo, fermandosi a quota 60,4 miliardi, creando un ‘buco’ di 7 miliardi. I dati sono contenuti nella relazione del ministero dell’Economia sugli andamenti della spesa pensionistica e delle relative entrate per i dipendenti pubblici.
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La crescita delle entrate contributive (e trasferimenti) è stata comunque rilevante: tra il 1999 e il 2015 si è registrato un incremento del 67,8%. E più di una volta i versamenti hanno superato le spese: nel 2001 le prestazioni pensionistiche erano costate 39,9 miliardi, a fronte di entrate pari a 40,8 miliardi; l’anno successivo le uscite erano cresciute a 41,8 miliardi ma gli incassi avevano mantenuto il vantaggio arrivando a 42,1 miliardi. Nel 2006, per l’ultima volta, il calcolo delle uscite (48,6 miliardi) e delle entrate (48,9 miliardi) ha dato risultato positivo. Nel decennio successivo la corsa della spesa è stata inarrestabile, ed i versamenti non sono più riusciti a tenere il passo.
Nel dossier si osserva una crescita costante della spesa pensionistica, che rallenta in modo evidente dopo il 2012, anno in cui la gestione ex Inpdap è confluita nell’Inps. Infatti se prima dell’unione gli incrementi oscillavano dal 3,4% (del 2004, 2005 e 2012), al 5,8% del 2009, negli ultimi tre anni non è mai stata superata la soglia del 2,6%, registrata nel 2015 (+2,3% nel 2013 e +1% nel 2014).
L’incremento più rilevante in termini assoluti è quello del 2009, quando la spesa pensionistica è cresciuta di 3,1 miliardi rispetto all’anno precedente. La crescita minore è stata invece quella del 2014, quando ha superato di poco il mezzo miliardo.
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