Si apre la possibilità di destinare quote integrative per la pensione anche per i più giovani: scopriamo cosa bolle in pentola e quali sono gli scenari futuri possibili.


È notizia di questi giorni che chi inizierà a lavorare dal prossimo anno avrà la possibilità di versare fino al 2% in più dei propri contributi, per rimpinguare l’assegno percepito per la propria pensione. Attenzione per il versamento non servirà a raggiungere il diritto alla pensione e inoltre non sarà deducibile per l’intero importo ma solo per un 50%.

Un versamento volontario, che potrà quotare fino al 2% del versamento totale per aumentare l’assegno di pensione per la Generazione Z, pagato di tasca propria ed anche tassato. Chi s’iscriverà per la prima volta all’Inps dal prossimo anno, come dipendente o anche come autonomo o parasubordinato, potrà decidere liberamente di pensare al proprio futuro, non prossimo, e di versare fino al 2% in più dei propri contributi, ai fini della costruzione di una quota aggiuntiva di pensione.

Ma perché siamo arrivati a questo punto con il nostro sistema previdenziale?

Le criticità attuali del sistema previdenziale

Sicuramente la principale responsabilità può essere ascritta al costante calo demografico al quale stiamo assistendo in Italia. Per semplificare, la popolazione invecchia, basti tenere il conto per il quale ogni bambino sotto i 6 anni ha vicino più di 5 anziani, il flusso di stranieri che pure mostrano indici di natalità maggiore e raggiungono il nostro paese in età relativamente giovane, non riesce a invertire il trend. La ‘normale’ irrimediabile evoluzione se non cambieranno le cose o se il sistema non cambierà vedrà nel corso del prossimo decennio i conti dell’Inps sprofondare nel passivo: le stime ci dicono che si potrebbe passare dai +23 miliardi del 2023 a -45 miliardi nel 2032.

È quanto è apparso con chiarezza dai dati presentati durante l’incontro organizzato dal Consiglio d’Indirizzo e Vigilanza (CIV) dell’INPS per presentare contestualmente le proprie analisi e quelle curate dalla Direzione centrale Studi e Ricerche dell’Istituto, tenutosi lo scorso 16 dicembre 2024, nella cornice di Palazzo Wedekind a Roma, dal titolo “La natura delle entrate e delle uscite dell’INPS in rapporto alla dimensione previdenziale e assistenziale delle prestazioni”.

Nulla di nuovo comunque con quanto presentato già nella sua relazione, a giugno di quest’anno, dal presidente del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza (CIV) dell’INPS  Roberto Ghiselli che era stato molto chiaro, facendo riferimento  alla “combinazione di due tendenze, l’aumento della longevità e la bassa fecondità, che provocano la cosiddetta inversione nella piramide delle età”.

Il saldo positivo dei flussi migratori – aveva spiegato Ghiselli – non è sufficiente a bilanciare il saldo negativo della dinamica naturale. Il tendenziale calo demografico già ora determina uno squilibrio notevole fra le coorti interessate o prossime al pensionamento, e quelle in ingresso nel mercato del lavoro, con una contrazione tendenzialmente crescente della popolazione attiva”.

Uno degli aspetti di maggiore preoccupazione per gli equilibri futuri del sistema previdenziale “è rappresentato dalla crescita del numero dei pensionati in rapporto ai lavoratori attivi, in particolare per l’effetto combinato delle previsioni di decrescita demografica, in gran parte connessa al fenomeno della denatalità, e l’aumento della speranza di vita, che complessivamente porta a un tendenziale invecchiamento della popolazione”, aveva proseguito Roberto Ghiselli.

Pensioni, verso quote integrative per i più giovani

Sembra dunque un dato assodato è che i 30-40enni di oggi andranno in pensione sempre più tardi e con poco più della metà dell’ultimo stipendio. Proprio dalla consapevolezza di questo scenario partono dunque le proposte per cercare di ‘salvare’ il futuro pensionistico dei più giovani.

Oltre alla possibilità di integrare la propria pensione volontariamente per la generazione Z, un altro spiraglio si è aperto per i Millennials proprio in queste ora con la possibilità, sancita da un emendamento approvato in sede di bilancio, a prima firma della deputata Nisini, riformulato poi in commissione Bilancio alla Camera, che premia la flessibilità in uscita dal lavoro. Grazie all’emendamento, per la prima volta nella previdenza italiana si potranno cumulare la previdenza obbligatoria e quella complementare per raggiungere un assegno pensionistico pari a tre volte il minimo, riuscendo ad anticipare la pensione a 64 anni. Si otterrà così di andare in pensione più agevolmente sommando i contributi della previdenza obbligatoria con quelli dei fondi complementari, non dovendo attendere i temuti 70 anni per poter lasciare il lavoro, ma con la possibilità di uscita dai 64 anni in avanti, purché supportati da una forma di previdenza integrativa.

In questo modo chi vorrà uscire dal lavoro potrà sommare la rendita integrativa con la pensione pubblica per arrivare alla soglia richiesta, con delle modifiche, però. ll requisito di contribuzione necessario, in questo caso, salirà nel 2025 da 20 a 25 anni, per arrivare dal 2030 a 30 anni. Previsti, in ogni caso, sconti e bonus per le lavoratrici con figli, mentre per chi non vorrà utilizzare lo strumento della previdenza integrativa, l’accesso all’anticipo rimarrà con 64 anni e 20 di contributi.

Presenti anche alcune limitazioni connesse alla scelta di tale pensionamento. Come abbiamo visto i lavoratori che decideranno di usufruire di tale possibilità dovranno aver maturato almeno 25 anni di contributi effettivi dal 1° gennaio 2025, requisito incrementato, in base al sistema della ‘speranza di vita’, di ulteriori cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2030.  Chi sceglierà poi tale possibilità non avrà la possibilità di cumulo tra pensione e reddito da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui.