Headline:#xa9; Daniele Stanisci ag. Toia Controlli della Polizia di Roma Capitale sui contrassegni InvalidiAi lavoratori che conseguono la pensione di inabilità l’ordinamento riconosce una maggiorazione convenzionale da calcolarsi secondo le regole contributive. Come noto il concetto di inabilità previdenziale nel nostro ordinamento è fissato dall’articolo 2, comma 1, della legge 222/1984, che considera inabile, per il raggiungimento del diritto al­la pensione nell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e nelle gestioni speciali dei lavora­tori autonomi (coltivatori diretti, coloni, mezzadri, im­prenditori agricoli a titolo principale, artigiani e com­mercianti), l’assicurato il quale, a causa di infermità o di difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa (Inps, circolare 167 del 11 luglio 1984).

 

Oltre a questi i requisiti sanitari – che ovviamente devono essere certificati dalle Commissioni preposte ai sensi di legge – occorre il requisito contri­butivo del possesso di almeno cinque anni di anzianità assicurativa (è necessario, cioè, che siano trascorsi non meno di cinque anni dalla data di inizio dell’assicurazio­ne) e di almeno cinque anni (260 contributi settimanali o 1350 contributi agricoli giornalieri) di contributi di cui almeno tre 156 contributi settimanali o 810 contributi agricoli giornalieri) nel quinquennio precedente la rela­tiva domanda. Per l’accesso a tale prestazione non è richiesto alcun requisito anagrafico.

 

Il beneficio della maggiorazione contributiva Per il calcolo della misura della pensione di inabilità il nostro ordinamento prevede l’applicazione di un beneficio che può portare un effetto molto rilevante sull’importo della pensione. L’articolo 1, comma 15 della legge 335 del 1995 riformando l’articolo 2, comma 1 della legge 222/1984 dispone infatti che per tutti i soggetti che hanno diritto alla pensione inabilità venga riconosciuta una maggiorazione, secondo il sistema contributivo, con l’attribuzione di una contribuzione complessiva non superiore a 40 anni, aggiungendo al montante individuale posseduto al momento della decorrenza della prestazione, una ulteriore quota di contribuzione riferita al periodo mancante fino a raggiungimento del sessantesimo anno di età.

 

In sostanza all’invalido viene riconosciuta una maggiorazione contributiva pari alla distanza che lo separa dall’età di 60 anni (entro però un tetto di 40 anni di contributi). Si prenda ad esempio un lavoratore con 45 anni di età e 15 anni di contributi che, a causa di un infortunio, abbia perso in modo permanente la capacità lavorativa può accedere alla pensione di inabilità. Ebbene in tal caso a questi spetterà sulla pensione un beneficio contributivo di 15 anni pari cioè all’età che lo separa dal 60° anno di età (60-45) che gli porterà una pensione calcolata virtualmente su 30 anni di contributi anziché 15, gli anni effettivamente versati. Di converso se il lavoratore avesse invece già 60 anni o 40 anni di contributi non avrebbe diritto ad alcun beneficio contributivo.

 

Come si quantifica il valore di detta contribuzione? Per farlo bisogna partire delle medie contributive pensionabili possedute negli ultimi 5 anni dall’assicurato e rivalutarle ai sensi dell’articolo 3 comma 5 del decreto legislativo 503/92. In sostanza bisogna sommare le ultime 260 settimane di retribuzione (1800 giorni per i lavoratori del pubblico impiego) dopo averle rivalutate annualmente per i coefficienti di rivalutazione delle retribuzioni della Quota B della pensione fissati dalla Riforma Amato. Il risultato ottenuto viene moltiplicato per l’aliquota di computo della gestione (33% del reddito prodotto per i lavoratori dipendenti) e diviso per cinque anni ottenendo in questo modo la media contributiva annua rivalutata dell’ultimo quinquennio lavorato. Il risultato deve essere, quindi, moltiplicato per il numero di anni per il quale deve essere applicato il beneficio (nel nostro caso 15 anni).

 

Questo valore dovrà essere aggiunto al montante contributivo che dà luogo alla determinazione della di pensione contributiva. Resto inteso che nella traduzione del montante complessivo in pensione annua dovrà utilizzarsi il coefficiente di trasformazione legato all’età di decorrenza della pensione di inabilità (e dovrà essere quello relativo all’età di 57 anni per i soggetti che accedono alla prestazione prima di tale età anagrafica).

 

Appare utile ricordare che queste regole si applicano anche ai lavoratori del pubblico impiego ai quali, dal 1996, è stata estesa questa prestazione. In tal caso tuttavia l’importo della pensione con i benefici di cui sopra è soggetta ad un doppio tetto: non può superare l’80% della base pensionabile nè l’importo del trattamento privilegiato attribuibile alle medesime condizioni. Quest’ultimo requisito, in realtà, appare non più verificabile in quanto la Legge Fornero ha abolito l’istituto del trattamento privilegiato per la generalità dei dipendenti pubblici (ad eccezione del comparto difesa e sicurezza).

 

In definitiva, a ben vedere, si tratta di un beneficio significativo che può valere anche diverse centinaia di euro in più al mese, cifra che l’invalido si porterà dietro per tutta la durata della prestazione di inabilità. Tale beneficio, appare utile ricordarlo, non si applica invero all’assegno ordinario di invalidità che viene erogato ove la capacità lavorativa dall’assicurato sia ridotta in modo permanente in misura superiore a 2/3.