pa collaborazione coordinata e continuativaLa Corte di cassazione, con la sentenza n. 3384 dell’8 febbraio 2017, ha dettato alcune disposizioni sulla stipula di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un’amministrazione pubblica.

 


 

Se è vero che la questione delle incompatibilità attiene ad un rapporto di lavoro già in essere e quindi il suo rilievo non può incidere ai fini della qualificazione del rapporto medesimo e del pari l’esame dell’eccezione di prescrizione, sebbene riferita al merito della pretesa economica, lascia irrisolto l’accertamento della natura del rapporto di lavoro, è altrettanto vero che gli elementi di cui si lamenta il mancato esame, offerti dal ricorrente a sostegno della pretesa riqualificazione del rapporto di collaborazione autonoma in rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’ente pubblico, quand’anche considerati, non consentirebbero comunque l’accoglimento della domanda nei termini in cui è stata proposta.

 

La stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un’amministrazione pubblica, al di fuori dei presupposti di legge, non può mai determinare la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potendo il lavoratore conseguire una tutela in termini meramente risarcitori, nei limiti di cui all’articolo 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale.

 

L’odierno ricorrente non risulta aver mai proposto una domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 2126 c.c., ma ha chiesto la conversione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (che si configura come rapporto d’opera professionale) in rapporto di pubblico impiego e il riconoscimento delle differenze retributive derivanti da tale conversione, in quanto spettanti al personale di ruolo in posizione C1.

 

L’articolo 53 del Dlgs 165/2001, accanto alla disciplina delle incompatibilità “assolute” con lo status di pubblico dipendente sancite dal Dpr 3/1957, comportanti decadenza dell’impiego, regolamenta anche le attività non vietate, ma sottoposte a un regime autorizzatorio, nonché le attività “liberalizzate”, ossia espletabili da qualsiasi pubblico dipendente senza necessità di autorizzazione datoriale.

 

In allegato la Sentenza della Cassazione.