corte di giustizia UEI lavoratori pubblici precari, che hanno subito un abuso di contratti a tempo determinato, non hanno diritto a posto fisso, ma solo al risarcimento? Le conclusioni dell’avvocato generale della Corte di Giustizia Europea.


L’avvocato generale della Corte di giustizia Ue Maciej Szpunar, è stato a chiamato a esprimersi sul caso di una signora che tra il 4 ottobre 2010 ed il 31 dicembre 2016 ha lavorato per il comune di Valderice sempre con contratti a tempo. Il parere dell’avvocato generale, figura equivalente a quella del Procuratore, non vincola la Corte, ma spesso ne anticipa gli orientamenti.

 

Il caso è applicabile anche per il comparto scuola, come spieghiamo in questo altro articolo.

 

Nello specifico il quesito era il seguente:

 

Se rappresenti misura equivalente ed effettiva, nel senso di cui alle pronunce della Corte di Giustizia Mascolo [e a. (C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13)] e Marrosu [e Sardino](C-53/04), l’attribuzione di una indennità compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione (articolo 32, comma 5, l. n. 183/2010) al dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, con la possibilità per costui di conseguire l’integrale ristoro del danno solo provando la perdita di altre opportunità lavorative oppure provando che, se fosse stato bandito un regolare concorso, questo sarebbe stato vinto.

 

Se, il principio di equivalenza menzionato dalla Corte di Giustizia (fra l’altro) nelle dette pronunce, vada inteso nel senso che, laddove lo Stato membro decida di non applicare al settore pubblico la conversione del rapporto di lavoro (riconosciuta nel settore privato), questi sia tenuto comunque a garantire al lavoratore la medesima utilità, eventualmente mediante un risarcimento del danno che abbia necessariamente ad oggetto il valore del posto di lavoro a tempo indeterminato.

 

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, nonché dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), figurante in allegato a tale direttiva. Essa si iscrive in una serie di rinvii introdotti dai giudici italiani, aventi ad oggetto la compatibilità del divieto di trasformazione dei contratti a tempo determinato in un solo contratto a tempo indeterminato nel settore pubblico in caso di ricorso abusivo a detto primo tipo di contratti da parte di un datore di lavoro.

 

Tuttavia, a differenza delle precedenti domande, il giudice del rinvio si chiede, nella fattispecie, quali misure debbano essere adottate al fine di sanzionare l’utilizzo abusivo dei contratti a tempo determinato; ciò consentirà alla Corte di arricchire la propria giurisprudenza concernente la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro.

 

La direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato e l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato figurante in allegato a tale direttiva, nonché la loro efficacia pratica, non ostano ad una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale la quale, in caso di ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, esclude la conversione del rapporto di lavoro nel settore pubblico, benché riconosciuta nel settore privato quale misura sanzionatoria, e prevede come contropartita:

 

–        un’indennità forfettaria compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione accordata al dipendente pubblico, vittima di un’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, a condizione che tale indennità costituisca una misura sufficientemente dissuasiva, il che può essere assicurato segnatamente attraverso la determinazione dei suoi limiti crescenti in funzione della durata del ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato o tramite l’effetto combinato di qualsiasi altra misura sanzionatoria prevista nel diritto nazionale;

 

–        la possibilità per il lavoratore di ottenere la riparazione del danno effettivamente subito, mentre il diritto a tale riparazione è subordinato all’obbligo, incombente a tale lavoratore, di provare la perdita di opportunità di lavoro stabile oppure che, se fosse stato bandito un regolare concorso dall’amministrazione, lo stesso lo avrebbe vinto.

 

Per l’avvocato generale il risarcimento non può equivalere al valore del posto a tempo indeterminato, altrimenti si attribuirebbe al lavoratore una somma (ovvero tutti i redditi di una vita di lavoro) superiore al danno effettivo.

 

Il testo completo della Sentenza è consultabile al seguente link.