La formazione dei dipendenti della pubblica amministrazione trova spazio nel contributo del Ministero della Pubblica Amministrazione, redatto in vista del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).
“L’impiego delle metodologie di formazione a distanza potrà consentire di ampliare il numero dei destinatari e realizzare una formazione continua che garantisca livelli minimi comuni di conoscenze” e prosegue, righe dopo, “I mutamenti organizzativi in atto, l’introduzione di nuove tecnologie, l’esistenza di una rete nazionale e il diffondersi del telelavoro debbono portare a ripensare i luoghi e le tecniche della formazione. La progettazione delle attività formative, quindi, dovrà considerare anche le diverse metodologie di formazione a distanza (videoconferenza, e-learning) che permettono di assicurare l’efficienza e l’efficacia della formazione. L’adozione di tali tecnologie comporta notevoli investimenti iniziali e, al pari di altri progetti di automazione, richiede un’attenta pianificazione, soprattutto al fine di tenere conto degli obiettivi della formazione, dei destinatari e dell’integrazione con le tradizionali metodologie d’aula. I programmi di formazione a distanza, inoltre, dovranno prevedere una organizzazione modulare e una gestione flessibile, affinché possano venire incontro alle esigenze formative individuali.”
Formazione Pubblica innovativa nel PNRR? Oppure no?
Sembra tutto condivisibile ed al passo con i tempi, peccato che non siano le linee programmatiche del PNRR ma la direttiva dell’allora ministro Franco Frattini, sulla “Formazione e valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni”, datata 13 dicembre 2001.
Una direttiva che introduceva concetti come “domanda di nuove competenze”, “informatizzazione nella pubblica amministrazione e conseguente riorganizzazione”, “sistema dinamico e pluralistico di alta formazione per i dirigenti”, “responsabilità dirigenziale nella gestione dell’attività formativa”, “fabbisogno formativo” e “qualità della formazione”.
La direttiva Frattini prevedeva, inoltre, che l’insieme delle informazioni interessanti il settore andasse raccolto “in apposite banche dati, anche per evitare di destinare ad attività formative personale non interessato, non impiegabile a copertura dei nuovi compiti degli uffici e non dotato di professionalità adeguata per livello o settore”.
Sembra quasi che per venti anni il settore della formazione pubblica si sia fermato e le cose dette in quella direttiva tornino ad essere attuali, anche alla luce delle conseguenze della pandemia.
Ritorno al passato
In effetti non è così: siamo tornati indietro. Gli investimenti in formazione si sono dimezzati (come riportato nelle stesse “Linee guida programmatiche”) passando da 262 milioni di euro del 2008 ai 154 milioni di euro nel 2018: 48 euro per dipendente, pari ad un giorno di formazione l’anno.
Il contributo ministeriale in vista del PNRR concentra la propria attenzione sull’accesso nella Pubblica Amministrazione. Il Ministero vuole dotare il settore pubblico delle migliori nuove competenze e favorire un ricambio generazionale.
Le “linee guida” denunciano che l’età media dei dipendenti pubblici è di 50,7 anni e si pongono l’obiettivo di accelerare le procedure dei concorsi, ripensando profondamente i meccanismi di selezione e di reclutamento delle persone. L’obiettivo del Ministero è “dotare il Paese di una nuova classe dirigente per affrontare le sfide del futuro con competenza, conoscenza, qualità”.
Non è ancora chiaro quali saranno le nuove procedure, che dovranno tradursi in atti amministrativi idonei a garantire la parità di trattamento di tutti i cittadini, l’imparzialità della pubblica amministrazione e l’accertamento della professionalità richiesta.
Il destino “opaco” degli ultracinquantenni
Ed ancora più opaco è il destino degli ultracinquantenni che attualmente occupano i posti della Pubblica Amministrazione. L’idea sembra essere quella dell’accantonamento dei vecchi attrezzi di lavoro a favore di quelli più tecnologici ed evoluti. Il rischio concreto è quello di una loro marginalizzazione e forte demotivazione o quello di un’esplosione di conflitti tra vecchi e nuovi assunti.
Per evitare tutto questo, ci sono unicamente due strade: il prepensionamento (economicamente assolutamente insopportabile) o di investire molto in formazione ed aggiornamento degli ultracinquantenni.
Quali sono le nuove idee ministeriali in materia di formazione? Il rilancio della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, che sarà oggetto di un rafforzamento e di accordi di collaborazione con le migliori università.
Un approccio di tipo “universitario”
Il disastro della formazione pubblica è dovuta proprio all’approccio di tipo universitario di molti docenti nei confronti dei soggetti da formare o da sottoporre ad aggiornamento professionale. La classe non è formata da allievi ai quali elargire informazioni ed impartire lezioni, ma di soggetti con un notevole bagaglio di conoscenze ed esperienze e con competenze da affinare. La formazione frontale in aula dev’essere accompagnata da altri strumenti. Non bastano le convenzioni con le Università e le lezioni degli accademici non sono utili al 70% dei dipendenti comunali e lo sono solo in parte per il restante 30%. L’apporto delle Università è utilissimo per la classe dirigente se accompagnato con altre esperienze professionali.
Il Ministero, nella qualificazione e riqualificazione delle persone (upskill e reskill), vuole partire dalle competenze tecnico-specialistiche, ma soprattutto da quelle gestionali, organizzative e relazionali come la leadership.
Peccato che sia un argomento affrontato e sviscerato in tutti i corsi di formazione per dirigenti pubblici, almeno degli ultimi venti anni.
Conclusioni sulla Formazione Pubblica nel PNRR
Il Ministero conta molto sulla mobilità sia interna alle amministrazioni centrali e locali, che esterna. Non viene detto (non era questa la sede) come ciò avverrà, ma è difficile immaginare, in concreto, l’osmosi con il settore privato per favorire scambi di competenze e conoscenze. Le eccellenze del settore privato non hanno ragione di passare a quello pubblico, tranne che non vengano loro garantite parità di condizioni. Il pericolo è quello che l’osmosi sia il chiavistello per le figure più mediocri per accedere alla pubblica amministrazione senza passare dai concorsi.
Le “linee guida” in materia di formazione vanno ripensate, guardando avanti, magari alla “direttiva Frattini”.
Fonte: articolo di Luciano Catania, segretario del Comune di Enna