Secondo quanto prevede la bozza della manovra 2025, allo studio del ministero della Pubblica amministrazione di intesa con il ministero dell’Economia c’è la possibilità di fare andare in pensione i dipendenti pubblici a 70 anni, ma ad alcune specifiche condizioni: scopriamole.


La riforma delle pensioni entra dunque nel vivo con questa  nuova proposta del governo Meloni che potrebbe far parte della prossima manovra di bilancio per il 2025.

Questa misura, attualmente in esame presso il ministero della Pubblica amministrazione in collaborazione con il ministero dell’Economia, rappresenterebbe una delle novità più significative per il sistema pensionistico italiano.

Una risposta al problema della spesa pensionistica

L’idea alla base di questa proposta risponde a una precisa necessità economica. Nel 2025 si prevede un incremento considerevole delle uscite per pensionamenti, dato che molti lavoratori raggiungeranno i 67 anni, età attualmente prevista per la pensione di vecchiaia. Questo scenario potrebbe gravare ulteriormente sui conti dell’Inps, già messi a dura prova negli ultimi anni. Per far fronte a tale pressione, l’esecutivo sta valutando soluzioni che possano alleggerire il carico finanziario, evitando una crescita insostenibile della spesa pensionistica.

Dipendenti pubblici in pensione a 70 anni ma ad alcune condizioni

La possibilità di estendere l’età lavorativa fino ai 70 anni potrebbe rappresentare una sorta di “cuscinetto” per diluire l’impatto dei pensionamenti e ridurre la necessità di nuove assunzioni nel breve termine. In questo modo, il governo spera di contenere le spese, senza tuttavia sacrificare del tutto il ricambio generazionale.

Si tratta, in primo luogo, di una scelta su base volontaria: i lavoratori potranno decidere autonomamente se proseguire fino ai 70 anni, escludendo qualsiasi forma di imposizione. La flessibilità, dunque, rimarrebbe centrale in questa riforma. Ma non sarebbe solo questa l’unica condizione.

Chi rimane diventerà un tutor per i nuovi assunti

Uno degli aspetti più interessanti della proposta riguarda il ruolo che i lavoratori pubblici ultra-sessantenni potrebbero ricoprire nei loro ultimi anni di servizio. Chi scegliesse di rimanere in attività oltre i 67 anni, infatti, potrebbe essere incaricato di affiancare i nuovi assunti in qualità di tutor, trasferendo competenze ed esperienze maturate in anni di lavoro. Questo meccanismo, pensato per favorire una transizione più graduale e ordinata, permetterebbe ai più giovani di inserirsi nel mondo del lavoro con il supporto di figure esperte.

Il concetto di tutoraggio: esperienza al servizio dei giovani

Nel settore pubblico, molte posizioni richiedono un elevato livello di competenza tecnica e una conoscenza approfondita delle procedure burocratiche, regolamenti e meccanismi interni. I lavoratori più anziani, che hanno accumulato anni, se non decenni, di esperienza, rappresentano una risorsa inestimabile. Permettere loro di restare in servizio oltre l’età di pensionamento potrebbe consentire un trasferimento sistematico e pianificato di queste competenze ai giovani dipendenti.

Il tutoraggio, in questo contesto, andrebbe oltre la semplice formazione tecnica. I lavoratori senior non solo potrebbero insegnare ai nuovi colleghi le competenze specifiche del lavoro, ma anche trasmettere una visione più ampia del funzionamento della macchina amministrativa, della gestione dei rapporti interpersonali e dell’adattamento alle dinamiche politiche e istituzionali. Un affiancamento di questo tipo fornirebbe ai giovani assunti non solo le nozioni pratiche, ma anche una comprensione più profonda e strategica del loro ruolo all’interno del settore pubblico.

Vantaggi del modello di tutoraggio

  1. Riduzione del gap generazionale: in un ambiente in cui si assiste spesso a un ampio divario tra le competenze dei più giovani e quelle dei lavoratori senior, il tutoraggio può servire da strumento per colmare questo gap. I più anziani possono condividere il loro patrimonio di conoscenze e aiutare i giovani a inserirsi più rapidamente e con maggiore consapevolezza nei loro ruoli.
  2. Miglioramento della qualità del servizio pubblico: la trasmissione di competenze tra generazioni può garantire che il personale più giovane acquisisca non solo le conoscenze tecniche, ma anche l’etica lavorativa, il senso di responsabilità e la comprensione delle esigenze dei cittadini, elementi fondamentali per il funzionamento efficiente della pubblica amministrazione.
  3. Gradualità nella transizione: consentire ai dipendenti più anziani di rimanere attivi come tutor potrebbe permettere una transizione più fluida, evitando vuoti organizzativi quando figure chiave si ritirano. La presenza di un tutor può anche ridurre il periodo di adattamento dei nuovi assunti, migliorando la continuità dei servizi offerti.
  4. Valorizzazione dei lavoratori senior: invece di percepire la fine della loro carriera come una fase di declino, i dipendenti ultra-sessantenni potrebbero sentirsi coinvolti in un ruolo attivo e riconosciuto, dove la loro esperienza è valorizzata. Questo potrebbe avere un impatto positivo anche sul loro benessere psicologico, contrastando il senso di inutilità o alienazione che può accompagnare l’uscita dal mondo del lavoro.

Sfide e possibili criticità del tutoraggio

Sebbene l’idea del tutoraggio presenti evidenti vantaggi, ci sono anche delle sfide da considerare:

  1. Adeguamento al ruolo: non tutti i lavoratori anziani potrebbero essere disposti o capaci di ricoprire un ruolo di tutor. Essere un buon formatore richiede non solo esperienza, ma anche capacità pedagogiche, pazienza e attitudine a lavorare con generazioni più giovani. Se questa funzione non viene assegnata con attenzione o non viene supportata con una formazione adeguata, il rischio è che i tutor non riescano a trasmettere le competenze in modo efficace.
  2. Incompatibilità tecnologica: i lavoratori più anziani potrebbero avere difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti tecnologici, rendendo più difficile il trasferimento di competenze in settori dove l’innovazione è rapida. In tal caso, i giovani potrebbero percepire il tutoraggio come un freno, anziché un supporto.
  3. Cultura del lavoro diversa: le nuove generazioni hanno spesso una visione diversa del lavoro, con aspettative e priorità differenti rispetto ai colleghi più anziani. Questo potrebbe creare attriti o incomprensioni, rendendo più complesso il rapporto tra tutor e nuovi assunti.
  4. Rischio di sovrapposizioni e resistenze: un altro potenziale problema è il rischio che i lavoratori più anziani, nonostante il loro ruolo di tutor, non lascino spazio sufficiente ai giovani, trattenendo competenze chiave o ritardando il processo di piena autonomia delle nuove leve.

Condizioni per un tutoraggio efficace

Affinché questo modello funzioni in modo ottimale, è essenziale creare le condizioni giuste:

  • Formazione specifica per i tutor: non tutti i lavoratori anziani hanno competenze didattiche. Potrebbe essere utile offrire corsi di formazione per aiutarli a sviluppare tecniche di tutoraggio e migliorare la loro capacità di comunicare con i più giovani.
  • Chiarezza sui ruoli: è fondamentale definire chiaramente il ruolo del tutor e i confini entro i quali deve operare. Il suo compito è affiancare, non sostituire o sovrapporsi alle responsabilità dei nuovi assunti.
  • Monitoraggio dei risultati: l’efficacia del tutoraggio andrebbe monitorata nel tempo, per capire se sta realmente facilitando l’inserimento dei giovani e migliorando la qualità del servizio pubblico.

Un equilibrio delicato tra pensionamenti e assunzioni

La misura, tuttavia, non è esente da limiti. Per evitare di compromettere ulteriormente le finanze pubbliche, la possibilità di trattenere in servizio dirigenti e dipendenti anziani sarà soggetta a vincoli ben precisi. Il governo intende infatti mantenere un controllo rigoroso sulle assunzioni, stabilendo che il prolungamento del servizio non possa incidere più del 10% sulla capacità di assumere nuovo personale.

Questa normativa, sebbene pensata per alleggerire la pressione sulle casse dello Stato, solleva alcuni interrogativi sulla sua reale efficacia nel garantire il necessario turnover nel settore pubblico. Inoltre, il tema della rivalutazione delle pensioni in base all’inflazione resta un altro nodo cruciale su cui l’esecutivo dovrà lavorare per evitare di penalizzare ulteriormente i pensionati.

Le criticità derivanti da questa proposta

L’introduzione della possibilità di andare in pensione a 70 anni nel settore pubblico potrebbe presentare diverse criticità, sia per i lavoratori che per il sistema nel suo complesso. Ecco alcuni dei principali aspetti problematici:

Impatto sul ricambio generazionale

Estendere l’età pensionabile potrebbe rallentare il naturale ricambio generazionale, riducendo le opportunità per i giovani di entrare nel pubblico impiego. Questo potrebbe generare squilibri nei livelli di competenza e innovazione, poiché i giovani tendono a portare nuove idee e competenze tecnologiche. Inoltre, un ritardo nell’assunzione di nuove leve potrebbe avere ripercussioni sulla produttività e sulla modernizzazione dei servizi pubblici.

Effetto sulla motivazione e sulla produttività dei lavoratori senior

Prolungare l’attività lavorativa fino a 70 anni potrebbe incidere negativamente sulla motivazione di alcuni lavoratori. Non tutti gli impiegati sono disposti o in grado di mantenere alti livelli di efficienza e dedizione fino a un’età così avanzata. Con l’età, il rischio di esaurimento fisico e mentale aumenta, e ciò potrebbe tradursi in un calo della produttività o in assenze più frequenti per motivi di salute.

Salute e benessere dei lavoratori anziani

Non tutti i lavoratori anziani sono in condizioni di salute tali da poter continuare a svolgere le proprie mansioni efficacemente fino a 70 anni. Questo potrebbe comportare maggiori richieste di congedi medici o una maggiore incidenza di malattie professionali. Una forza lavoro più anziana potrebbe comportare un aumento dei costi per il sistema sanitario e per l’assistenza a lungo termine, con il rischio di aggravare ulteriormente le finanze pubbliche.

Possibile resistenza da parte dei lavoratori

Anche se la misura è prevista su base volontaria, potrebbe generare malcontento tra i lavoratori, soprattutto se percepita come un modo per rinviare il diritto alla pensione piena. Alcuni potrebbero sentirsi costretti a lavorare più a lungo per ragioni economiche, vedendo la scelta di continuare a lavorare fino a 70 anni come una necessità piuttosto che una libera opzione.

Equilibrio finanziario e costi nascosti

La proposta intende contenere i costi legati alla spesa pensionistica, ma potrebbe generare costi nascosti. Prolungare la permanenza in servizio dei dipendenti più anziani implica stipendi più alti, dato che lavoratori senior tendono ad avere retribuzioni superiori rispetto ai neo-assunti. Inoltre, la permanenza prolungata potrebbe incidere sulla spesa previdenziale a lungo termine, poiché i lavoratori che si ritirano più tardi potrebbero beneficiare di pensioni più alte.

Influenza sui processi di innovazione e cambiamento

La presenza prolungata di personale più anziano, se non adeguatamente aggiornato, potrebbe rallentare i processi di innovazione all’interno della pubblica amministrazione. L’adozione di nuove tecnologie e metodologie di lavoro potrebbe essere ostacolata da una forza lavoro meno propensa ad adattarsi ai cambiamenti. Questo aspetto potrebbe rendere il settore pubblico meno dinamico e meno efficiente.

Disparità tra settori e categorie lavorative

Alcune professioni nel pubblico impiego richiedono sforzi fisici o mentali intensi, rendendo più difficile per determinati lavoratori estendere la carriera fino a 70 anni. La norma potrebbe dunque risultare più favorevole per chi svolge ruoli di tipo gestionale o amministrativo, creando disuguaglianze tra le diverse categorie di dipendenti.

Effetti psicologici e sociali

Il lavoro fino a tarda età potrebbe avere ripercussioni sul benessere psicologico di chi desidera ritirarsi e godere della pensione dopo una lunga carriera. La pressione sociale e le aspettative familiari, unite al desiderio di una fase di vita più tranquilla, potrebbero far percepire questa estensione come un ostacolo alla realizzazione personale e al godimento degli anni post-lavorativi.

Una proposta che ai sindacati non piace

Come abbiamo riportato nelle scorse settimane i sindacati sembrano (quasi tutti) in disaccordo con la proposta. Le principali sigle sindacali del settore pubblico si sono infatti fermamente opposte a questa possibilità, sostenendo che sarebbe più urgente avviare nuove assunzioni e favorire il turnover. Solo la CISL ha lasciato qualche porta aperta all’opzione sottolineando tuttavia che deve essere sempre lasciata al singolo lavoratore la piena libertà di scelta.

Le OO.SS. vedono la proposta come una soluzione temporanea e inefficace ai problemi strutturali della Pubblica amministrazione, che richiederebbero piuttosto nuove assunzioni e una revisione profonda delle condizioni lavorative. Si prospetta dunque un braccio di ferro nelle prossime settimane tra Governo e dipendenti statali.