La Corte dei conti del Lazio, con la sentenza n. 492/2018, imputa un danno erariale compiuto dal Dipendente Pubblico che svolge un’attività extra non autorizzata.
La fattispecie al vaglio del Collegio attiene ad una ipotesi di danno erariale subito dall’INPS, ad opera del convenuto che, nel periodo 2004 — 2006, in violazione dell’art. 53 D.Lgs. 165/2001 ha svolto, in assenza di autorizzazione, attività di lavoro subordinato a favore di terzi nonostante la sua qualifica di pubblico dipendente.
Nel merito, si reputa sussistente nel caso in esame il danno erariale invocato dalla Procura contabile. In tal senso, infatti, depone il chiaro dato normativo fornito dal comma 7 dell’art. 53 della legge n. 165/2001, secondo cui
“I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi.
[…] In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.
Occorre, peraltro, rilevare come il successivo comma 7-bis precisi che
“l’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore, costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti”.
Il giudizio
Pertanto, va rilevato che l’obbligo di esclusività è stato violato dal dipendente pubblico, avendo egli svolto attività lavorativa retribuita senza aver mai richiesto la preventiva autorizzazione. Con riguardo alla quantificazione del danno erariale, si rileva che dal dato normativo si evince come il danno erariale sia costituto dall’ammontare del compenso da corrispondere, non già dalla somma di cui il dipendente ha mantenuto la disponibilità dopo aver adempiuto ai propri obblighi fiscali e contributivi.