Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al disegno di legge noto come Ddl Merito, elaborato dal ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo: tra le novità la possibilità di diventare dirigenti pubblici anche senza concorso e le modifiche ai meccanismi di valutazione delle performance per gli statali.
Il provvedimento infatti introduce significative novità per dirigenti e dipendenti pubblici, con l’obiettivo di riformare i criteri di valutazione e le prospettive di carriera, ponendo al centro il merito e la responsabilità gestionale.
Nelle sue intenzioni il Governo punta a rendere la Pubblica Amministrazione più efficiente, meritocratica e orientata alla valorizzazione del capitale umano.
Tuttavia il testo non è esente da critiche e alcuni sindacati si sono schierati contro questo gruppo di norme.
Ddl merito: diventare dirigenti pubblici anche senza concorso
Il testo, articolato in 15 punti, delinea una riforma profonda della Pubblica Amministrazione, introducendo una modalità alternativa di accesso alla dirigenza. In particolare, una quota del 30% delle posizioni dirigenziali potrà essere assegnata attraverso una procedura semplificata. I funzionari con almeno cinque anni di servizio e i quadri con due anni di esperienza potranno candidarsi per un incarico dirigenziale a termine, previa valutazione di una commissione indipendente che includerà un esperto esterno in selezione del personale. Qualora ottenessero il rinnovo dell’incarico, la nomina a dirigente diventerebbe definitiva.
Questo meccanismo di progressione professionale mira a valorizzare l’esperienza maturata sul campo, riducendo la rigidità delle selezioni concorsuali e introducendo un percorso che premia la competenza e la performance lavorativa. La valutazione della commissione indipendente sarà basata su parametri che includono il rendimento individuale, la capacità gestionale e il contributo dato al miglioramento dell’efficienza amministrativa.
Tuttavia, questa innovazione solleva interrogativi sulla possibilità che si creino disparità di trattamento tra chi accede alla dirigenza tramite concorso e chi, invece, ne beneficia attraverso questa via semplificata.
La revisione della valutazione delle performance
Un altro elemento innovativo riguarda la revisione del sistema di valutazione delle prestazioni. Attualmente, la Corte dei Conti evidenzia che il 98% dei dipendenti pubblici si autovaluta come “eccellente”, generando una distribuzione poco differenziata dei giudizi e dei premi di produttività.
Per correggere questa tendenza, la riforma introduce criteri più selettivi, che includono competenze trasversali come la capacità di lavorare in squadra, la propensione all’innovazione e la valorizzazione dei collaboratori. Sarà inoltre imposto un tetto del 30% per le valutazioni massime all’interno di ciascun ufficio dirigenziale generale, limitando così l’assegnazione indiscriminata di punteggi eccellenti e dei relativi incentivi economici.
Effetti sul pubblico impiego e sulla dirigenza
Questi cambiamenti avranno un impatto significativo sia sui dipendenti pubblici sia su coloro che aspirano a entrare nella dirigenza attraverso i concorsi. Da un lato, il nuovo sistema potrebbe aumentare la motivazione dei lavoratori, offrendo percorsi di crescita basati sulle reali competenze. Dall’altro, richiederà criteri di valutazione oggettivi e trasparenti per garantire pari opportunità di avanzamento
Inoltre, la selezione per i ruoli apicali subirà trasformazioni che potrebbero influenzare le strategie di preparazione dei candidati. Il limite massimo di eccellenze riconosciute, fissato al 20%, rafforza l’obiettivo di premiare il merito in modo più equo ed efficace, evitando distorsioni nel sistema di incentivazione.
Dure critiche dai sindacati
A schierarsi contro il provvedimento è in particolare la FP CGIL con la segretaria, Serena Sorrentino, che attacca frontalmente il Governo: “Qui non c’entra la riforma del merito, la questione è più profonda: riguarda un cambio di paradigma nella pubblica amministrazione dove si sostituisce la trasparenza e terzietà delle procedure concorsuali con la discrezionalità“.
Già in passato la segretaria del sindacato si era schierata contro questa visione del lavoro pubblico: “Salari bassi, pagelline, aumento carichi di lavoro ed età pensionabile: così si mortifica la Pa. […] E non ci dicano che sono i lavoratori a scegliere se dopo oltre 40 anni di servizio non ti pagano il tfr, se non c’è rivalutazione dei coefficienti di lavoro con pensioni basse più del salario più basso, considerando anche il taglio delle aliquote dell’ultima legge di bilancio per alcune categorie di dipendenti pubblici, non c’è libertà di scelta, molti devono rimanere per diventare ancora più poveri. Per sopravvivere molti dovranno scegliere se essere pensionati poveri o lavoratori allo stremo delle forze.”
Dello stesso tono il commento di Rita Longobardi, segretaria generale UIL-FPL: “In merito alla possibilità che siano i dirigenti a valutare le competenze del dipendente e decidere della loro crescita professionale ed economica senza il superamento di alcun concorso, rispondiamo che ciò si potrebbe configurare come una sorta di raccomandazione travestita“.