societàLa Corte Costituzionale, con sentenza n. 251 depositata lo scorso 25 novembre, ha sancito la parziale illegittimità della Legge 7 agosto 2015, n. 124 (cd. Legge Madia) nella parte in cui prevede che i decreti legislativi attuativi siano adottati previa acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anziché previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

 

La Corte Costituzionale , a seguito del ricorso della Regione Veneto, in riferimento alle norme relative alla dirigenza, alle partecipate, ai servizi pubblici locali e al pubblico impiego, ha dichiarato l’illegittimità della riforma Madia, nella parte in cui prevede che l’attuazione della stessa, attraverso i decreti legislativi, possa avvenire con il semplice parere della Conferenza Stato-Regioni o unificata, sede dove serve invece un’intesa per poter procedere. Si precisa che la pronuncia di illegittimità costituzionale colpisce le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevede che i decreti legislativi sono adottati previo parere e non previa intesa.

 

Trattasi di disposizioni che contribuiscono a definire una serie di principi e criteri relativi alla delega al Governo in tema di riorganizzazione di tutta la dirigenza pubblica, la delega intende innovare profondamente la disciplina previgente, attraverso l’istituzione di un sistema della dirigenza pubblica, articolato in ruoli unificati e coordinati dei dirigenti dello Stato, regionali e degli enti locali. Le eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tener conto delle concrete lesioni delle competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il governo, nell’esercizio della sua discrezionalità, riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione.

 

La Regione Veneto formula particolari censure nei confronti degli artt. 1, comma 1, e 23, comma 1, nella parte in cui stabiliscono che dall’attuazione della legge in oggetto e dai decreti legislativi da essa previsti (volti a modificare e integrare il codice dell’amministrazione digitale) non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale.

 

Tali disposizioni sono impugnate in riferimento agli artt. 81 e 119 Cost., in quanto imporrebbero un nuovo e improprio onere di finanziamento della riforma in capo alle Regioni. La Regione ricorrente deduce che l’assunzione di nuovi modelli tecnologici imposta dalla normativa statale comporterebbe inevitabilmente costi a suo carico, rispetto ai quali lo Stato ometterebbe di destinare le risorse aggiuntive necessarie a coprire gli oneri conseguenti all’espletamento delle azioni necessarie.

 

In allegato il testo della Sentenza.