Si assiste ad una rivalutazione, da parte degli enti locali, del modello dell’azienda speciale, quale organismo strumentale per la gestione di servizi imprenditoriali, previsto dall’art. 114 del TUEL. Ciò rende opportuna un’analisi dell’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78/2010 che è al di fuori del dibattito che ruota intorno al capitale di dotazione (contenuto del dibattito: è o non è il capitale di dotazione contributo pubblico?).
Come sappiamo, le aziende speciali ricadono nelle limitazioni dell’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78/2010, che, se ci sono contribuzioni a carico delle finanze pubbliche, non consente di erogare indennità di carica o gettoni di presenza ai componenti degli organi collegiali, lasciando in vita solo i gettoni già corrisposti, adeguati nell’importo (non più di trenta euro a seduta giornaliera).
Ferma restando, al verificarsi della relativa condizione, la riduzione di cui all’art. 1, comma 554, della legge n. 147/2013, è evidente che la disciplina previgente al d.l. n. 78/2010 non si adegua a quest’ultimo se l’azienda riceva solo contribuzioni straordinarie (una tantum: si veda circolare RgS n. 40 del 23/12/2010).
Il divieto contenuto nell’art. 6, comma 2, del d. l. n. 78/2010 esiste, quindi, solo quando l’azienda sia destinataria di contribuzioni pubbliche rivolte alla spesa di funzionamento.
La relativa analisi è la seguente.
Se viene consolidata un’efficace gestione, l’azienda speciale acquisisce quell’autonomia finanziaria che la colloca fuori dagli andamenti che, per non intaccare il capitale di dotazione, rendono necessarie contribuzioni a copertura di potenziali perdite.
Il capitale di dotazione è, dunque, voce irrilevante sul piano del divieto contenuto nell’art. 6, comma 2, del d l. 78/2010: ciò che rileva è la presenza o meno di contribuzioni ordinarie.
Va da sé che la mancanza di contribuzioni ordinarie è condizione necessaria, ma non sufficiente, per la gratuità della titolarità di cariche e della partecipazione ad organi collegiali.
Se, infatti, queste contribuzioni non ci sono, ma il capitale di dotazione è intaccato dalle perdite, ecco che il ricorso, da parte dell’azienda, alla tesi dell’estraneità del capitale di dotazione alla nozione di contributo pubblico sarebbe strumentale a consentire che la spesa in esso ricadente ospiti indennità e gettoni.
Sarebbe, in tal modo, elusivo dell’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78/2010.
Ecco, quindi, che la questione prescinde dal tema del noto dibattito (se il capitale di dotazione sia o meno contributo pubblico), essendo la seguente: il capitale di dotazione, se intaccato dalle perdite, non consente l’erogazione di indennità e gettoni, perché, in tal caso, la sua reintegrazione determinerebbe contribuzioni ordinarie.
Il punto, infatti, è: se il legislatore avesse voluto includere, nel novero delle contribuzioni, anche quell’apporto pubblico che non può mancare, non avrebbe avuto, a giudizio di questa Redazione, ragione di non ricorrere ad una formulazione letterale coerente, omettendo il dettaglio “… che comunque ricevono contribuzioni a carico delle finanze pubbliche…”.
In conclusione, il capitale di dotazione è di certo apporto pubblico, ma non per questo determina a priori l’impossibilità di pagare indennità di carica e gettoni di presenza, essendo ciò consentito entro i limiti che non intaccano il capitale di dotazione.
Ciò posto, la considerazione che i risultati di gestione possano, alla luce di questa lettura della norma, essere strumentalmente occultati investe ovviamente la differente normativa sui controlli.