Recentemente, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti riguardo alla compatibilità tra il lavoro di dipendente pubblico e il secondo lavoro, inteso come incarichi extraistituzionali.
La sentenza 9801/2024, nel caso specifico, si occupa di un lavoratore di uno dei comparti del pubblico impiego che, in parallelo, ricopriva la carica di presidente del consiglio di amministrazione di una società cooperativa sociale.
Scopriamo dunque qual è stata l’interpretazione dei giudici della Suprema Corte.
Incarichi extraistituzionali e normativa di riferimento
L’articolo 60 del D.P.R. n. 3/1957 stabilisce un divieto di incompatibilità per i pubblici dipendenti che assumano incarichi in enti privati. Tuttavia, l’articolo 61 dello stesso decreto prevede delle eccezioni per le cariche sociali in società cooperative, permettendo, di fatto, l’accettazione di tali ruoli senza configurare incompatibilità assoluta. Nonostante ciò, la Corte di Cassazione ha precisato che questa deroga non elimina l’obbligo di richiedere l’autorizzazione al proprio datore di lavoro.
Obbligo di autorizzazione e principio di esclusività
La sentenza mette in evidenza che, sebbene un incarico gratuito in una cooperativa sociale non comporti automaticamente un’incompatibilità, è fondamentale ottenere l’autorizzazione dal proprio superiore. Questo requisito si basa sull’articolo 53 del D.Lgs. n. 165/2001, che enfatizza l’obbligo di esclusività nel pubblico impiego, in linea con l’articolo 98 della Costituzione, il quale stabilisce che i pubblici dipendenti devono servire esclusivamente la Nazione.
Applicazione nel settore sanitario
Nel settore della sanità, le regole sono ancora più rigorose. L’articolo 4, comma 7, della Legge n. 412/1991, richiamato dall’articolo 53 del D.Lgs. n. 165/2001, specifica che i dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale non possono esercitare altre attività o detenere partecipazioni in imprese che possano generare conflitti di interesse. Pertanto, l’assenza di comunicazione e autorizzazione dell’incarico extraistituzionale può portare a sanzioni disciplinari.
Conseguenze della mancata autorizzazione
La mancanza di autorizzazione per svolgere un incarico extraistituzionale non è priva di conseguenze. La Corte sottolinea che un pubblico dipendente che accetti una carica sociale senza la necessaria approvazione del datore di lavoro può incorrere in responsabilità disciplinare. Questo approccio garantisce la compatibilità tra le funzioni pubbliche e gli incarichi esterni, mantenendo l’integrità e la trasparenza del servizio pubblico.
Il giudizio della Cassazione sul “secondo lavoro” per il dipendente pubblico
In sintesi, anche se l’assunzione di ruoli in una cooperativa sociale può essere consentita senza configurare un’incompatibilità assoluta, è imprescindibile richiedere e ottenere l’autorizzazione al proprio datore di lavoro. La normativa in vigore mira a salvaguardare la correttezza e l’esclusività del servizio pubblico, proteggendo al contempo i dipendenti da potenziali conflitti di interesse.
Non trovo corretta questa legge, in quanto il dipendente pubblico è già “penalizzato ” dallo stipendio molto ma molto inferiore alla media che visto il costo della vita attuale non permette uno standard qualitativo adeguato (e questo può generare varie problematiche, a mio avviso). Alla fine del discorso dipendente 1300€ mensili non può trovare altra attività che gli permetta uno standard di vita dignitoso, va bene ma adeguate gli stipendi
Concordo pienamente. Io credo che lo svolgimento occasionale di attività professionali extra ufficio, costituisce altresì un arricchimento per il dipendente medesimo che potrebbe giovare anche al suo ambito lavorativo pubblico. Fermo restando il rispetto in termini di incompatibilità e conflitto di interessi, l’attività extra ufficio realizza anche una crescita in termini di conoscenze e competenze
Tanto comunque il dipendente pubblico lo fa a nero.
Vi sono alcune forme di contratto pubblico come il part time, che permettono anche la possibilità di svolgere anche un lavoro privato, tutto questo nel rispetto della dovuta tassazione….ma in linea di principio concordo con l’esclusività del rapporto con la P.A. che andrebbe comunque valorizzato dal punto di vista anche economico. Mentre andrebbe duramente combattuto il secondo lavoro a nero e questo lo affermavo anche in tempi non sospetti, quando l’economia viaggiava e le ditte ti venivano a cercare sul posto di lavoro…
In sanità infermieri e medici possono svolgere un secondo lavoro.
Questa è una discriminazione oltre ad andare contro il principio di esclusività, quindi, o si toglie tale principio o nessun dipendente pubblico può fare un secondo lavoro.
Delle due una
Solo i medici, infermieri no.