assunzione-falsa-dichiarazione-titolo-di-studioCorte dei Conti: dolo e responsabilità erariale in caso di assunzione con falsa dichiarazione del titolo di studio.


La Corte dei Conti, sezione regionale del Trentino Alto Adige, prende in esame un ricorso presentato contro un giudizio di responsabilità ai danni di un dipendente pubblico che, per diversi anni, ha prestato servizio come funzionario, avendo superato una selezione a cui era stato ammesso producendo una dichiarazione falsa riguardo il suo conseguimento del titolo di studio.

In occasione di una verifica effettuata da un’amministrazione presso la quale aveva richiesto di transitare, si è avuta contezza delle false dichiarazioni. E in conseguenza di ciò il dipendente ha presentato le  proprie dimissioni.

La difesa del convenuto rivendica, ai fini della responsabilità erariale, la mancata dimostrazione della volontà dell’evento dannoso (art. 21 d.l. 76/2020), nonché il riconoscimento dell’attività lavorativa prestata, anche con riferimento all’articolo 2126 del codice civile che invoca la validità dei contratti di lavoro che non. derivino dall’illiceità dell’oggetto o della causa.

Assunzione con falsa dichiarazione del titolo di studio: dolo e responsabilità erariale

Per i giudici della Corte, la condotta antigiuridica posta in essere non è in discussione e l’insieme delle condotta messe in atto evidenziano la connotazione dolosa della fattispecie di danno. Risulta chiara, infatti, la rappresentazione e la volontà del comportamento antidoveroso, quale piena consapevolezza della natura illecita dell’azione reiteratamente posta in essere.

Tali circostanze evidenziano la volontà del convenuto di arrecare un danno agli enti pubblici datori di lavoro, nello stesso momento in cui costui intenzionalmente attestava falsamente il titolo di studio richiesto dagli enti pubblici datori di lavoro che, evidentemente, consideravano tale titolo elemento essenziale della prestazione lavorativa.

La Pubblica Amministrazione non richiede e non remunera una prestazione qualsiasi, ma la specifica prestazione dedotta in contratto, discendente da norme imperative, con standards qualitativi, di professionalità e quantitativi predeterminati.

La carenza di tali standards, nel caso specifico la professionalità richiesta, rende la prestazione lavorativa del tutto inadeguata alle esigenze amministrative e la controprestazione, ovvero la retribuzione corrisposta, non risulta correlata alla prestazione richiesta e pattuita, essendo venuto meno il relativo rapporto sinallagmatico.

 


Fonte: articolo di Santo Fabiano [tratto da lasettimanagiuridica.it]