Il limite della riservatezza non vale per i Consiglieri Comunali? Risponde alla domanda il Consiglio di Stato, in una recente Sentenza analizzata dal Dottor Santo Fabiano.
La vicenda esaminata dal Consiglio di Stato (5032/2020) riguarda la richiesta di accesso di un consigliere comunale a cui l’Amministrazione risponde con un provvedimento di differimento sine die, in ragione della pendenza dell’istruttoria e della valutazione di fattibilità sulla proposta, relativa a un partenariato pubblico-privato.
È interessante l’analisi effettuata dai giudici che hanno ritenuta legittima la reiterazione dell’istanza di accesso avvenuta dopo tre mesi, in presenza di eventi sopraggiunti, a cui l’Amministrazione ha risposto avendo effettuato una nuova valutazione che, tuttavia, anche in questo caso ha avuto come esito un nuovo differimento.
Il consigliere comunale appellante lamenta che il differimento dell’accesso si protrae ormai da molti mesi, sicché le proprie prerogative ne risultano frustrate, tanto più che non è stato indicato alcun termine finale del differimento.
Il limite della riservatezza per i Consiglieri Comunali
I giudici, richiamando la precedente giurisprudenza, affermano che l’accesso agli atti esercitato dal consigliere comunale ai sensi dell’art. 43 d.lgs. n. 267 del 2000 ha natura e caratteri diversi rispetto alle altre forme di accesso, esprimendosi in un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle sue funzioni, ciò anche al fine di permettere di valutare – con piena cognizione – la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio e per promuovere tutte le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale (Cons. Stato, V, 5 settembre 2014, n. 4525).
Per tali ragioni, da un lato sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio delle sue funzioni; d’altra parte dal termine «utili», contenuto nell’articolo 43 d.lgs. n. 267 del 2000, non può conseguire alcuna limitazione al diritto di accesso dei Consiglieri comunali, poiché tale aggettivo comporta in realtà l’estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l’esercizio delle funzioni.
Gli unici limiti all’accesso validi
L’unico limite all’accesso del consigliere comunale è configurabile, in termini generali, “nell’ipotesi in cui lo stesso si traduca in strategie ostruzionistiche o di paralisi dell’attività amministrativa con istanze che, a causa della loro continuità e numerosità, determinino un aggravio notevole del lavoro degli uffici ai quali sono rivolte e determinino un sindacato generale sull’attività dell’amministrazione (Cons. Stato, IV, 12 febbraio 2013, n. 846)” (Cons. Stato, V, 2 marzo 2018, n. 1298).
Inoltre, aggiungono i giudici, va anzitutto escluso che il mero differimento dell’accesso in quanto tale non possa perciò solo pregiudicare il diritto del consigliere comunale ad accedere agli atti ex art 43 d.lgs. n. 267 del 2000: deriva infatti dal differimento pur sempre una limitazione, benché temporanea, dell’accesso – e, dunque, dell’ostensione di documenti utili all’esercizio delle funzioni consiliari – pregiudizievole per le sue prerogative di consigliere, tanto più nel caso di specie, in cui il differimento non è correlato a un termine certo e perdura ormai da tempo.
Le conclusioni del Consiglio di Stato
Peraltro, ribaltando la decisione del giudice di primo grado, si afferma che non si può ritenere legittimo il differimento affermando che, in ragione della fase ancora tecnica e preliminare in cui il procedimento di valutazione della proposta versa, “non si configuri per il richiedente alcuna compressione, in termini giuridicamente rilevanti, delle prerogative connesse all’espletamento del suo mandato di Consigliere comunale”.
Come già rilevato, infatti, proprio in quanto funzionale al mandato, l’accesso non richiede una puntuale e specifica motivazione, né tanto meno una dimostrazione delle attività consiliari perseguite e della lesione che ne discenderebbe in caso di limitazione: da un lato non è concepibile un controllo ex ante sull’esercizio del mandato in relazione all’accesso esercitato, dall’altro la prescritta utilità dei documenti non può valere a limitare il diritto d’accesso “poiché tale aggettivo comporta in realtà l’estensione di tale diritto di accesso a qualsiasi atto ravvisato utile per l’esercizio delle funzioni” (Cons. Stato, n. 4525 del 2014, cit.; n. 843 del 2013, cit.); né d’altra parte sono state specificamente opposte dalla difesa dell’ente eventuali modalità emulative o inutilmente gravose nell’esercizio dell’accesso che potrebbero valere a giustificarne la limitazione.
Infine, concludono i giudici, neppure rilevano le ragioni di riservatezza dei documenti oggetto dell’istanza d’accesso. il diritto del consigliere comunale ad ottenere dall’ente tutte le informazioni utili all’espletamento delle funzioni, infatti, non incontra alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato al segreto d’ufficio.
VIDEO SINTESI DELLA SENTENZA
Fonte: articolo di Santo Fabiano