L’88% della popolazione che vive in città, secondo l’Oms, respira troppo smog. Ma sono anche altri i fattori che assediano la salute. Come uscire dall’emergenza.

Di città si può morire. Lo dimostra  il rapporto dell’Organizzazione  mondiale della sanità del 2014. Che  racconta di un mondo in cui, nel 2012,  3,7 milioni di persone sotto i 60 anni  sono morte a causa dell’inquinamento  dell’aria. Solo il 12% della popolazione  – nelle 1.600 città analizzate dal 2008 al  2013 in 91 paesi – vive in luoghi dove lo smog  non supera le linee guida dell’Oms. Le città  europee più inquinate si trovano in Turchia,  Polonia, Bulgaria. L’Italia è invece il primo  paese dell’Europa occidentale a comparire in  questa classifica: Monza, Padova, Vicenza,  Torino, Treviso, Brescia e Cremona guidano la  classifica con livelli di particolato (Pm10) fra i  42 e i 47 microgrammi per metro cubo (ug/m3) e  di polveri sottili, nello specifico il Pm 2,5, fra 30  e 39. Soglie ben al di sopra di quelle consigliate  dall’Oms: 20 microgrammi per metro cubo per  il Pm10, 10 per il Pm2,5, quello più piccolo e  quindi più pericoloso per la salute.

Pena Capitale

«Nelle zone più inquinate di  Roma, come l’Aurelia, c’è un aumento della mortalità del 7% –  spiega Francesco Forastiere del  dipartimento di Epidemiologia del  Servizio sanitario del Lazio – Le  principali malattie rilevate sono  quelle cardiovascolari e il tumore  al polmone, la cui incidenza è superiore del 9% nelle aree dove gli  inquinanti hanno livelli più alti».  Forastiere è fra gli autori di uno  studio sull’esposizione prolungata  allo smog a Roma realizzato dal  dipartimento epidemiologico del  Lazio e inserito nel progetto europeo  Escap, nato proprio per valutare gli effetti a lungo termine  dell’inquinamento dell’aria negli  Stati europei. Il lavoro, pubblicato  a marzo 2013, ha preso in esame  circa 1.200.000 cittadini romani  censiti nel 2001, residenti da più  di cinque anni nella Capitale e al  di sopra dei 30 anni. I ricercatori  hanno rilevato i livelli di Pm2,5 e  biossido di azoto (NO2) nelle diverse zone di Roma scoprendo che per  10 microgrammi in più per metro  cubo di polveri e biossido si registra un aumento medio del rischio  di mortalità rispettivamente del 4  e del 6%. Un sito, www.romariasalute.it, raccoglie i dati dell’inquinamento giornaliero e di quello  annuale nei diversi angoli della  città. I risultati mostrano che le  morti dal 2001 al 2010 per cause  cardiovascolari sono state oltre  60mila, più di 22mila quelle per  malattie ischemiche del cuore, circa 9mila per malattie respiratorie  e 12mila per tumore al polmone.  Secondo uno studio del 2012, se  a Roma venissero rispettati i limiti di Pm2,5 segnalati dall’Oms  l’aspettativa di vita aumenterebbe di oltre 12 mesi e si conterebbero quasi 1.300 morti in meno  all’anno, con un risparmio per le  famiglie e per lo Stato di oltre 2  miliardi di euro. Lo stesso accadrebbe per gli standard da Pm10:  ci sarebbero quasi 600 ricoveri in  meno per malattie respiratorie e  oltre 400 in meno per problemi cardiovascolari, con risparmi complessivi stimati in 4 milioni di euro.

Sotto il tappeto

Che l’eccesso di inquinanti nell’aria possa essere causa di morte  lo aveva già dimostrato l’Organizzazione mondiale della sanità nel  2003: «Avevamo fatto uno studio  che mostrava come circa 8mila  decessi in Italia, in dodici grandi  città, fossero dovuti alla presenza  troppo alta di particolati in base  ai livelli di allora, poi abbassati»  racconta Roberto Bertollini, direttore del Programma speciale per  la salute e l’ambiente dell’Oms.  Solo nel 2013 la Iarc, l’Agenzia  internazionale per la ricerca sul  cancro, ha concluso che l’inquinamento dell’aria è cancerogeno  per gli esseri umani. Le rilevazioni del rapporto dell’Oms del 2014  avrebbero quindi dovuto mettere  in allarme l’Unione Europea, che  consente concentrazioni di Pm10 e  Pm2,5 superiori del doppio rispetto all’Organizzazione mondiale  della sanità, rispettivamente  40 e 20 microgrammi per metro  cubo. «La Commissione europea  in effetti ha richiesto uno studio  all’Oms per evidenziare la relazione fra inquinamento atmosferico  e problemi alla salute – ammette  Bertollini – Il lavoro ha messo in  luce che i parametri sono da rivedere e da abbassare, ma per ora  nulla è stato fatto». La revisione  realizzata dall’Oms e consegnata  a gennaio 2013 ha portato all’elaborazione dell’ Air quality package, un documento sulla qualità dell’aria ora in discussione nelle sedi  istituzionali europee. Lo scorso  dicembre però, in un comunicato  stampa, la Commissione europea ha affermato che i livelli di  Pm10 e Pm2,5 non saranno rivisti. Troppo difficile per gli Stati  europei non violare i vecchi parametri a causa di traffico, attività  industriali e consumo quotidiano.  Molto meglio cercare altre vie, e  non limitare le  emissioni. «Già  nel 2008 l’Unione  voleva documentare la situazione  dei particolati –  ricorda Forastiere  – Ma mancavano  i dati, per questo  sono partite le diverse ricerche nelle città europee del  progetto  Escape». I  dati, vecchi e nuovi, sono allarmanti, ma non sembrano aver scomposto  il governo italiano,  probabilmente favorevole al mantenimento dei parametri europei  visto l’alto livello di Pm10 e Pm2,5  in tutta l’area della pianura padana. «L’inquinamento atmosferico è  un problema di lunga data in Italia, ma non ci sono politiche per  ridurlo in maniera significativa –  commenta Bertollini – Esiste da  decenni e non è mai stata messa  in opera una politica multiregionale che coinvolga più province e  città». E se i governi cercano di  ignorare la gravità della situazione, nuove ricerche puntano il  dito sugli effetti sulla salute dello  smog: «La situazione di Roma è in  continuo aggiornamento – precisa Forastiere – Inoltre stiamo realizzando uno studio che cerca le  relazioni fra malattie respiratorie  croniche, diabete, morbo di Parkinson e inquinamento. Ci vorrà  ancora almeno un anno di lavoro  per conoscerne i risultati».

Non solo smog

L’inquinamento in città certo  non è solo smog. Secondo il dossier  Mal’aria di città redatto da  Legambiente nel 2013, a preoccupare la Comunità europea  ci sono anche gli elevati livelli  di rumore. Diversi studi hanno  evidenziato che l’inquinamento  acustico aumenta l’incidenza di  ipertensione, malattie cardiovascolari e compromette le capacità  cognitive dei bambini. L’Oms stima che il 50% della popolazione  europea vive in aree nelle quali il livello di rumore durante il giorno è superiore ai 55 decibel, mentre il 20% è esposto a valori superiori ai 40 decibel anche di notte. Sera, lo studio sugli effetti del rumore aereoportuale del 2010 realizzato dal dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio, ha evidenziato gli effetti dell’inquinamento acustico su persone fra i 45 e i 70 anni residenti al 31 dicembre 2010, da almeno due anni, vicino ad uno scalo aereo, prendendo in esame  Torino-Caselle, Milano-Linate e  Malpensa, Pisa-San Giusto, Venezia-Tessera e Roma-Ciampino.  Delle oltre seicentomila persone  che vivono vicino alle zone monitorate, più di 125mila subiscono  un livello di rumore superiore ai  55 decibel. L’analisi ha inoltre stabilito che l’inquinamento acustico  ha causato 1.577 casi di ipertensione, 11.572 di  annoyance  (vale a  dire il fastidio causato dal rumore  sugli individui) e oltre diecimila  di disturbi del sonno. Situazioni  particolari, forse, ma che ben si  inseriscono nei dati più generali  raccolti dal monitoraggio del  Treno Verde,  la storica campagna itinerante di Legambiente, durante  i mesi di febbraio e marzo 2012:  nelle otto città visitate (Potenza,  Napoli, Roma, Grosseto, Milano,  Venezia e Ancona) sono stati registrati decibel superiori alla norma  di legge, sia di giorno che di notte.

Unione a due velocità

Si tratti di rumore o di qualità  dell’aria, a pesare sono certamente anche i consumi e le abitudini  individuali. Basta scorrere i dati  della European environmental  agency per “scoprire” che un cittadino europeo consuma mediamente l’equivalente di 3,7 tonnellate  di petrolio all’anno in elettricità,  riscaldamento e trasporto, che  corrispondono a 7,8 tonnellate di  emissioni di CO2 legate ai consumi energetici. E che il 79% del fabbisogno di energia di un abitante  dell’Unione europea è soddisfatto  da petrolio, carbone e gas. Secondo la Commissione europea, per  l’Air quality package ogni Stato  dovrebbe creare zone restrittive  dove i veicoli più vecchi e inquinanti non possano circolare, incentivare la costruzione di edifici  a risparmio energetico, favorire  l’acquisto e la diffusione di veicoli a energia pulita, promuovere  migliori abitudini domestiche e  campagne contro l’inquinamento, diminuire l’energia fornita da  biomasse e così la dispersione di  particolati. Buone pratiche per  salvaguardare la salute, ma nessuna modifica agli standard sulla  qualità dell’aria.

 

 

FONTE: La Nuova Ecologia – Network di Legambiente

 

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