Il conflitto fra chi guarda prettamente agli aspetti economici e chi invece è sensibile alle tematiche ambientali torna prepotentemente ad affacciarsi in Europa. Sono due in particolare gli oggetti degli scontri: gli obiettivi energetici e ambientali dell’Unione Europea per il 2030 e lo sfruttamento o meno delle risorse energetiche disponibili, dal petrolio della Basilicata allo shale gas inglese e francese. Intanto, negli Usa il prezzo del gas è sceso del 66% in sette anni.
In un’Europa affaticata dalla crisi, il conflitto fra chi guarda agli aspetti economici e chi invece è sensibile all’ambiente – che aveva visto negli ultimi anni la netta prevalenza dei secondi – torna prepotentemente ad affacciarsi, come la stampa nazionale e internazionale mette continuamente in risalto. Sono due in particolare gli oggetti degli scontri: la definizione (da deliberare a breve) degli obiettivi energetici e ambientali dell’Unione Europea per il 2030, in linea o meno con lo spirito di quelli fissati per il 2020; lo sfruttamento o meno delle risorse energetiche disponibili in Europa, dal petrolio della Basilicata allo shale gas inglese e francese, per rilanciare le economie e ridurre la disoccupazione. Con una ulteriore componente in gioco nell’ultimo caso, che può pesare sulla bilancia favorevoli-contrari: come ripartire i frutti degli eventuali sfruttamenti, fra le imprese che estraggono il petrolio o il gas, gli stati nazionali, le regioni e gli altri enti locali.
Il fronte pro-economia guarda con invidia a quanto accaduto negli Stati Uniti, dove nel giro di pochi anni (fra il 2005 e il 2012) il prezzo del gas per le imprese è sceso per l’effetto shale del 66 per cento, a fronte della crescita nell’UE del 35 per cento, facendo parlare addirittura di manufacturing renaissance; e dove si è seguita una politica molto meno prescrittiva in tema di promozione delle rinnovabili.
Proprio il proseguimento della politica energetica attuale, che persegue la riduzione delle emissioni puntando soprattutto sulla crescita delle rinnovabili – attraverso l’imposizione di un target minimo per Paese – e dedicando una minore attenzione all’efficienza energetica, è uno dei punti di maggiore conflitto nell’UE.
Fra Paesi, con il Regno Unito (che sta accrescendo il ricorso al nucleare) fortemente contro e la Germania (che ha già deciso di spegnere i suoi reattori) viceversa a favore.
Fra imprese: preoccupate le manifatturiere dei riflessi sui costi dell’energia di un potenziamento vincolante delle rinnovabili; su posizioni di netta contestazione le energetiche tradizionali come Eon, che (come visto anche nella realtà italiana) stanno fortemente soffrendo la fase di aggiustamento; viceversa favorevoli alla status quo quelle che, come Alstom e Vestas, sono prosperate in questi anni con la vendita di infrastrutture per le rinnovabili. Nell’opinione pubblica: con la posizione estrema di Greenpeace, che vorrebbe portare il target minimo nel 2030 al 45 per cento.
Ma anche l’entità della riduzione delle emissioni da perseguire è oggetto di un duro confronto, che vede su fronti contrapposti – semplificando – i membri storici dell’UE e quelli entrati più di recente.
Lo sfruttamento delle risorse energetiche esistenti è l’altro grande tema, più interno ai singoli Paesi che dispongono di tali risorse che non su scala comunitaria. Potrebbe sfruttare di più il suo petrolio l’Italia, terza in Europa per riserve accertate (1,4 miliardi di barili circa, contro i 3 del Regno Unito e i 7,5 della Norvegia), per far ripartire l’economia e per soddisfare gli impegni di riduzione del debito che ci siamo assunti con l’Europa. Un raddoppio per il 2020 dell’attuale produzione potrebbe portare ad esempio, come notava recentemente anche lo Wall Street Journal, a una riduzione del 25 per cento della nostra bolletta energetica: un obiettivo tecnicamente perseguibile, se si supereranno però le pastoie burocratiche e le resistenze tipo no Tav. Potrebbe sfruttare le riserve di shale gas il Regno Unito, che sembra stia cambiando (con le prime concessioni a Total) il suo atteggiamento sinora ostile e potrebbe farlo con prospettive maggiori (data la consistenza delle riserve) la Francia, se il bisogno di Hollande di far ridecollare l’economia lo spingesse ad abrogare la legge che vieta ogni esplorazione nel Paese.
FONTE: www.ict4executive.it
AUTORE: Umberto Bertelé