La Commissione europea ha commissionato uno studio sui modelli con cui i diversi Paesi hanno deciso di risolvere le lacune infrastrutturali. Vediamo in dettaglio la formula italiana.
Una guida sugli aiuti di stato per la banda larga dedicata ai Decision Makers è quanto la Direzione generale per le Communications Networks, Content & Technology della Commissione europea ha commissionato a wik Consult. Uno studio che parte dal presupposto che tutti gli Stati membri debbano incrementare i propri sforzi per lo sviluppo della rete: una lezione che la storia ci ha ripetuto più volte e che vede come leva principale l’implementazione delle infrastrutture per rilanciare un’economia schiacciata vuoi da guerre, vuoi da crisi finanziarie.
Una misura vincente per garantire o aumentare la competitività e l’innovazione, per fornire posti di lavoro e opportunità per i giovani, per prevenire la delocalizzazione delle attività economiche o fenomeni migratori, per valorizzare un’area e preservare il relativo mercato immobiliare, per attrarre investimenti e sviluppare l’export… insomma, una di quelle misure che nessuno Stato e nessun partito può non contemplare nei propri programmi politici, perché la sete di banda non si placa mai.
Lo studio è molto recente, fine 2013, ma pochi ne hanno parlato anche perché in realtà non dice nulla di nuovo e gli Orientamenti comunitari relativi all’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga” (2009/C 235/049”) modificati poi nel 2012, sono chiari ed esaustivi. La stessa Commissione europea prende un po’ le distanze, precisando neldisclaimer che le informazioni e le opinioni contenute nella pubblicazione sono quelle degli autori e non riflettono necessariamente il parere ufficiale della Commissione, la quale non garantisce nemmeno l’esattezza dei dati inseriti esonerandosi da qualunque responsabilità. Un approccio alquanto anomalo, ma dobbiamo comunque apprezzare l’intento della direzione che lo ha commissionato, poiché è davvero quel che serve per raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei. Lo studio, infatti, fa proprio quello che gli Stati membri si aspettano: spiega ai decision maker pubblici come “ to deploy broadband faster and easier”.
Quel che abbiamo fatto noi semplifica ancor di più i processi: l’Italia infatti ha fatto la sua scelta. Noi non disponiamo solo di una guida che spieghi chiaramente come definire i piani per lo sviluppo di infrastrutture a banda larga che siano compatibili con gli aiuti di Stato in materia, noi abbiamo già un Piano Nazionale autorizzato dalla Commissione Europea e quindi compatibile con gli aiuti di Stato. I Decision Maker pubblici italiani, quindi, possono avviare i propri interventi direttamente senza dover definire modelli, notificarli alla Commissione europea, affrontare il lungo iter di approvazione e organizzare tutta l’attività di attuazione, monitoraggio ed eventualmente manutenzione dell’infrastruttura realizzata. Il Piano nazionale prevede, infatti, tutte queste cose, è già stato collaudato e può essere attuato direttamente da qualunque amministrazione o affidato al Ministero dello sviluppo economico che, ai sensi della la l.n. 69 del 2009, coordina gli interventi in materia procedendo secondo finalità di riequilibrio socioeconomico dei territori in cui il mercato non ha interesse a intervenire – le cosiddette aree bianche.
Un Piano che contempla tre modelli di intervento diversi a seconda delle esigenze dei territori: il modello a incentivo è quello, ad oggi, più utilizzato perché permette di incrementare l’investimento pubblico con il coinvestimento privato per almeno il 30 per cento. Nelle aree bianche più popolose (ovvero sempre a fallimento di mercato, ma meno marginali) è, quindi, uno strumento utile per ridurre il fabbisogno pubblico e garantire al contempo l’attivazione del servizio. Si tratta di un modello aperto alla concorrenza, poiché l’operatore che vince la gara pubblica e si aggiudica il contributo si impegna a rispettare le condizioni di massima apertura sulle infrastrutture realizzate con incentivi pubblici, come disciplinato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Quando però le aree di intervento sono così marginali da non riuscire ad attirare gli investimenti privati nemmeno con un contributo a fondo perduto sino al 70 per cento del totale dell’investimento, è necessario adottare il modello diretto. Un modello pubblico-pubblico, in cui le infrastrutture passive realizzate, e di proprietà pubblica, vengono concesse – mediante gara – a un soggetto concessionario, che si impegna a offrire l’accesso passivo e a cedere i diritti di uso delle infrastrutture realizzate agli operatori TLC che collegheranno i clienti finali al servizio di connettività di nuova generazione. La durata della concessione è rapportata agli investimenti e relativi ammortamenti cui è tenuto l’affidatario in relazione ai relativi rischi.
Il Piano Strategico Banda Ultralarga contempla anche il Partenariato Pubblico Privato, nella convinzione che il PPP sia la soluzione migliore per affrontare il tema delle infrastrutture a banda ultralarga, soddisfatte determinate condizioni che, nel caso italiano, non si sono ancora verificate. Il modello è comunque previsto nel caso, nel prossimo futuro, si possa affrontare questo tema in cui – dunque – vi è un rapporto di partnership tra il soggetto pubblico e uno o più soggetti privati che coinvestono per la realizzazione delle infrastrutture di accesso garantendo a uno o più soggetti privati, in base a requisiti definiti negli appositi bandi di gara, la possibilità di sfruttare fin da subito la concessione di uso delle stesse. In questo caso è possibile ampliare il volume degli investimenti, attraverso l’apporto dei privati riuniti (ad esempio in un consorzio) che devono, in ogni caso essere sottoposti a rigorosi sistemi di controllo, per evitare posizioni monopolistiche che rallentino lo sfruttamento competitivo delle infrastrutture da parte degli altri operatori.
FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)
AUTORE: Rossella Lehnus, Infratel, ministero Sviluppo economico