La legge di riforma della PA inizia il 13 maggio l’iter di discussione alla Camera. È un testo notevolmente arricchito e (rispetto al punto di vista della “trasformazione digitale”) migliorato dal Senato. È un testo che avvicina la riforma agli obiettivi che mesi fa aveva delineato il presidente Renzi nel suo intervento alle Camere sul “programma dei mille giorni”: “La digitalizzazione della pubblica amministrazione serve a progettare il futuro, non a digitalizzare l’esistente” e ancora “Questo è l’elemento di base della nostra riforma della pubblica amministrazione che è attualmente all’esame del Senato: l’agenda digitale come occasione di trasformazione esistenziale del sistema della pubblica amministrazione e contemporaneamente il messaggio per il quale questo Paese può essere, nel giro dei mille giorni, il Paese leader sull’innovazione digitale della pubblica amministrazione”.
Una legge migliorata
Ci si aspetta quindi una riforma della PA come trasformazione che fa perdere di senso lo stesso concetto di “PA digitale”, perché il digitale diventa elemento integrante della nuova PA che cambia nel suo profondo, a livello di processi, di competenze, di organizzazione, di concezione della relazione con i cittadini. E con il sentore, anche, del passaggio a una “PA aperta” e a forme di amministrazione condivisa.
Non è proprio così. Su diversi punti, anche grazie alle modifiche realizzate al Senato, si prospettano innovazioni di grande impatto, ma non di sistema. La trasformazione non appare.
Tra gli aspetti di maggiore rilevanza e pervasività, rispetto all’ambito digitale e dell’innovazione:
- la scelta sulla revisione profonda del Codice dell’Amministrazione Digitale (Cad), su cui l’articolo 1 declina tutte le linee di modifica che il Governo, grazie alla delega, dovrà operare, oltre che sul tema della “cittadinanza digitale”, che entra per la prima volta all’interno di una legge così di sistema. Un Cad semplice e ampio, sempre più simile a un “testo di principi dell’amministrazione aperta”, che lascia alle regole tecniche tutto quanto non è legato alla definizione di policy e di responsabilità. I punti di indirizzo della delega sono molteplici e affrontano gli aspetti principali del Cad, ponendo le basi per una sua sostanziale riscrittura;
- l’apertura alla flessibilità nelle modalità e nei tempi di lavoro (telelavoro, smart working e coworking), andando oltre la formulazione iniziale ristretta a segmenti specifici di personale interessato, ma con un approccio ancora timido, come qui di seguito cercherò di precisare;
- la semplificazione sul funzionamento degli enti pubblici di ricerca, riducendo la burocrazia che ne limita e qualche volta ne devia il focus delle attività;
- la rivisitazione del sistema della dirigenza pubblica con alcuni accenti significativi (ma non sufficienti) sul tema delle competenze, della formazione (obbligatoria), dell’inserimento e della carriera, così come anche per i dipendenti pubblici, dove si danno elementi specifici per i sistemi di misurazione della valutazione;
- la semplificazione nella gestione e nella strutturazione delle società di partecipazione pubblica.
Dando pertanto atto dei miglioramenti realizzati al Senato, ripercorriamo alcuni punti chiave sui quali sembra ancora necessario operare per modifiche e approfondimenti.
Possibili miglioramenti
Sarebbe auspicabile che questa riforma potesse disegnare la PA di domani (si tratta infatti di una legge delega che potrà iniziare ad aver impatti solo dalla fine del 2016).
Possibili miglioramenti potrebbero essere individuati ad esempio su queste direttrici:
a) Competenze digitali – è importante affermare che la cittadinanza digitale (art.1) è possibile solo in funzione di un adeguato sviluppo per tutti i cittadini di competenze digitali di base, secondo la definizione della Commissione Europea. È necessario l’impegno pubblico perché questo avvenga (non basta una semplice frase di “garanzia dell’alfabetizzazione digitale”) e perché sia monitorata la progressiva riduzione dell’esclusione digitale, oggi pari a circa i due terzi della popolazione;
b) Open Government – andare oltre la semplice affermazione che il CAD debba garantire “la partecipazione con modalità telematiche ai processi decisionali delle istituzioni pubbliche” e invece passare in modo più ampio e sistemico all’affermazione strategica che trasparenza, partecipazione e collaborazione sono i principi fondamentali della nuova PA, architravi dell’amministrazione, dando anche rilievo strategico nazionale alPiano di Azione per l’Open Government, definendo l’innovazione di servizio con un organico progetto di cambiamento, e quindi con il coinvolgimento dei cittadini accompagnandoli verso la coprogettazione, la coproduzione, l’utilizzo, secondo il principio per cui è a carico dell’amministrazione costruire le condizioni più adeguate per un ampio ed efficace utilizzo dei servizi;
c) Accesso alle Informazioni – indicare esplicitamente, dando seguito a quanto anticipato anche dal Governo, che si dovrà assicurare ai cittadini l’accesso alle informazioni secondo i principi del FOIA, in una logica sempre più pervasiva della libertà di accesso da parte dei cittadini e del dovere di trasparenza sulle informazioni e i dati pubblici;
d) Allineamento alle direttive europee – prevedere, in particolare, la rivisitazione di tutta la materia relativa ai servizi fiduciari (firma elettronica, posta elettronica, ecc.) perché sia conforme al regolamento europeo eIDAS n. 910/2014 sulla Identificazione elettronica e sui servizi fiduciari (vedi su questo tema leproposte di alcune associazioni di esperti);
e) Rapporti tra amministrazioni – delineare un netto cambiamento di policy nel rapporto tra le amministrazioni, favorendo quanto già si sta sperimentando in alcuni ambiti regionali in termini di co-progettazione, e quindi prevedendo misure di stimolo, supporto e incentivazione per le pratiche di scambio, riuso, collaborazione così da renderle sistematiche e non eccezionali, in una logica di processo;
f) Leve per l’Agenzia per l’Italia Digitale – nell’ambito di quanto già previsto anche dallo Statuto dell’Agid, sarebbe utile prevedere approfondimenti e puntualizzazioni che le consentano di esercitare appieno ilcoordinamento informatico dell’amministrazione centrale, regionale e locale, come previsto. Questo potrebbe significare, nei decreti delegati, anche prevedere un ruolo anche di analisi di fattibilità, di verifica nella progettazione e di coordinamento del collaudo degli interventi ICT, di vigilanza attiva e sanzionatoria, fino a spingersi verso una rivisitazione del ruolo e della struttura societaria delle in-house ICT, anche ampliando quanto previsto sul fronte del riordino delle società pubbliche;
g) Competenze e merito – è chiaramente positivo che sia prevista l’istituzione di una “banca dati” per il curriculum e il profilo professionale dei dirigenti (art.9), ma il passaggio fondamentale (auspicato) è di partire dalla previsione dell’istituzione di un chiaro e definito “sistema di gestione delle competenze”, di cui la banca dati rappresenta lo strumento tecnico, e che deve essere previsto per tutti i dipendenti pubblici. Ed è su questo sistema che può basarsi il presupposto della formazione continua e la possibilità di gestire anche un sistema di valutazione legato allo sviluppo delle competenze;
h) Modello di lavoro – Il tema del nuovo modello di lavoro (art.11), in cui si tratta di flessibilità degli orari, telelavoro, smart working e coworking, rimane sotto l’etichetta della conciliazione del tempo vita lavoro,anche se il testo adesso amplia l’applicazione all’intera organizzazione. Non a caso viene ripreso il concetto del “piano di utilizzo del telelavoro” senza però curiosamente far riferimento a quanto già previsto dal 2012 nel decreto Crescita 2.0, dove si introdusse un “telelavoro by default” purtroppo poco applicato e mai controllato. Quel che rimane da superare è l’approccio limitativo: questa potenziale trasformazione non è considerata uno dei perni su cui riorganizzare la PA e viene etichettata come “sperimentazione”. Tutto ciò “nell’ambito delle risorse di bilancio delle amministrazioni coinvolte”. In altri termini, buone aperture per le amministrazioni illuminate, ma non un disegno strategico e pervasivo. Secondo una logica perversa che tollera chi non innova e quindi crea le condizioni per l’impossibilità di innovare in modo diffuso. Anche la formula adottata per definire un obiettivo quantitativo (“permettere entro tre anni almeno al 20 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità” – smart working e coworking) ha il sapore del “vorrei ma non oso”, che mostra una sottovalutazione della potenzialità, e anche dell’ampiezza e della complessità di una introduzione efficace di modalità che pervadono e trasformano l’intero funzionamento organizzativo. Il che mal si adatta al contesto di una riforma che può prevedere interventi graduali ma non rinunciare all’ambizione del cambiamento. Cambiamento e trasformazione che non possono realizzarsi contestualmente a costo zero, ma che, come tutti i virtuosi processi di miglioramento, prevedono un iniziale investimento, un break-even e un beneficio economico successivo e duraturo.
L’auspicio è che quindi questa riforma PA disegni la nuova amministrazione, indirizzandola strategicamente verso l’Open Government, ma allo stesso tempo indicando con chiarezza come procedere per il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza della macchina pubblica, passando decisamente da una logica difunzionamento a silos ad una per processi, da un sistema di valori prevalentemente familistico e relazionale ad uno basato su competenze e meriti, mettendo in primo piano la misurazione dei risultati concreti come bussola di orientamento per determinare la riuscita e il successo delle iniziative.
Dichiarando guerra alla burocrazia e alla cultura dell’inadempienza, con una responsabilizzazione collettiva e pervasiva su tutti i livelli dell’amministrazione.