La UIL,attraverso questo studio, cerca di dimostrare – spiega Guglielmo Loy, Segretario Confederale UIL – come il lavoro accessorio attraverso l’utilizzo del voucher (buono-lavoro) sia cresciuto, anno dopo anno, dal 2008 al 2015.
Nel dettaglio, questo studio analizza l’evoluzione quantitativa dei voucher dal 2008 (535 mila voucher venduti) al 2015 (115 milioni circa) dimostrando come la costante crescita (2,7 mln. nel 2009;9,7 mln. nel 2010; 15,3 mln. nel 2011; 23,8 mln. nel 2012; 40,8 mln. nel 2013; 69,2 mln. nel 2014 e oltre 115 mln. nel 2015) sia strettamente legata alle modifiche normative che, come vedremo, hanno dilatato, anno dopo anno, il campo di applicazione di questo istituto (L. 113/08, L.3372009; L. 102/2009; L. Finanziaria 2010; L.10/2011; L.92/12; L.99/2013 e D.lgs 81/15-Jobs Act).
La nostra elaborazione stima che, nel corso del 2015, i lavoratori pagati con almeno 1 voucher sono stati 1.695.374. Il dato, naturalmente, comprende tutte le variegate situazioni, ma colpisce se si pensa che, su un numero complessivo di occupati di oltre 22 milioni di lavoratori, circa 8 su 100 sono stati retribuiti con almeno 1 voucher; questa quota aumenta se rapportata agli oltre 17 milioni di occupati dipendenti (10 su 100) e, addirittura, aumenta esponenzialmente sulla platea di oltre 2,2 milioni di lavoratori temporanei o/e stagionali subordinati (77 su 100).
Se si analizza la distribuzione dei lavoratori interessati per classi di età, si può facilmente notare come si sia passati da un maggior utilizzo del voucher per gli over 50 (nel 2009 1 voucherista su 2 aveva almeno 50 anni) a una prevalenza nella fascia di età under 49 anni, che nel 2014, assorbe l’80% di voucheristi.
Nel 2014, oltre il 40% dei lavoratori pagati con il voucher, ha fino a 29 anni: questo dato sui giovani dovrebbe far riflettere alla luce del non successo sia di Garanzia Giovani che del contratto di apprendistato, quest’ultimo in continua decrescita.
Quanto è stato il compenso netto medio annuo percepito dal singolo prestatore di lavoro con voucher nel corso del 2015?
Proviamo a stimarlo partendo dai 114.921.574 voucher venduti nell’anno 2015 (dato fornito dall’Inps) e togliendo il7,4% (stessa percentuale di riduzione tra voucher venduti e riscossi nel corso del 2014). Otteniamo così una stima di106.500.000 voucher riscossi, pari a un monte retributivo complessivo di €798.750.000 (importo netto annuo), che equivale a 471 euronetti percepiti dal singolo prestatore di lavoro (stesso importo percepito nel corso del 2014).
Fa notare GuglielmoLoy come sia il terziario (Commercio, Turismo e Servizi) a rappresentare, con quasi il 50% dei buoni lavoro, il settore di attività nel quale si utilizzano maggiormente i voucher. Mentre i settori che dovevano essere “protagonisti” (quasi assoluti) come il giardinaggio, il lavoro domestico, le attività sportive coprono meno del 15% dei buoni venduti e la stessa agricoltura l’1,3% (in questo caso grazie ai paletti normativi richiesti e ottenuti dalle Parti Sociali) .
Nel 2015, le Regioni più “voucherizzate” sono state Lombardia (21 mln. voucher venduti), Veneto (15,2 mln.), Emilia Romagna (14,3 mln.), Piemonte (9,4 mln.), mentre nel Mezzogiorno la Puglia (5,4 mln.).
Abbiamo, inoltre, condotto una stima sui voucher venduti a livello provinciale nel 2015. In pole-position c’èMilano con 7,3 milioni di buoni-lavoro venduti, seguita da Torino con4,5 milioni di voucher e Roma con 3,8 milioni. Continuando la classifica provinciale dei territori più voucherizzati, troviamo Verona (circa 3,3 milioni di voucher), Brescia (3,2 mln.), Bolzano (3,2 mln.), Bologna (3 mln.), Treviso (2,8 mln), Padova (circa 2,7 mln.), Modena e Venezia (oltre 2,6 mln.).
Tra le province che maggiormente utilizzano il voucher, vi sono quelle dove vi è una spiccata “stagionalità” del lavoro. E’ un caso? Si sta forse realizzando un “insano” connubio tra voucher e lavoro stagionale? Invece, a dispetto di quelle che erano le premesse iniziali sull’utilizzo di questo strumento, molte delle province (soprattutto del Sud) che meno utilizzano i voucher sono proprio quelle dove la disoccupazione e il lavoro nero sono più alti.
Quali che siano le risposte – conclude Loy – la soluzione di innalzare il tetto a 7 mila euro trovata con il Jobs Act di non farà altro che cannibalizzare sempre di più potenziali rapporti di lavoro subordinato attraverso l’utilizzo di questo poco tutelante istituto per il lavoratore che nel tempo produrrà, inevitabilmente, pensioni minime, instabilità lavorativa, bassa professionalità, e, soprattutto, un “buco fiscale” nelle casse dello Stato con un indebolimento del sistema di sostegno al reddito (i voucher sono esentati dal contributo per indennità disoccupazione e non danno diritto a essa).
E’ chiaro che se il trend di crescita del lavoro accessorio continuerà con queste percentuali di aumento, la politica in primis, dovrebbe porsi il problema di come rimediare ai futuri danni socio-occupazionali e di scarsa crescita che produrrà il massiccio ed incontrollato utilizzo del voucher.
Il Governo ha una occasione d’oro: la revisione dei decreti attuativi del Jobs Act che deve fare entro un anno dall’entrata in vigore della Legge. Ebbene, si potrebbe intervenire su più aspetti: tracciabilità “vera” dei buoni-lavoro, comunicazione precisa di inizio e fine del lavoro, riduzione del tetto massimo di utilizzo da parte delle imprese, esclusione di alcuni settori che già oggi hanno strumenti ultra flessibili in tema di rapporti di lavoro.
La sintesi dello studio in Pdf