La giurisdizione che vanta il maggior appeal fiscale sui gestori internazionali di grandi capitali finanziari non è la Svizzera, e nemmeno la City londinese, ma le Isole Cayman. Sarebbe questo quindi il terminale su cui planano ogni singolo giorno centinaia di miliardi di dollari in navigazione sui mercati globali. Le operazioni e gli schemi d’investimento si definiscono a Londra, Zurigo, Francoforte, New York o Tokyo, ma è su queste piccole isole che i miliardi sono depositati e messi al sicuro in attesa, alle volte lunga, in altri casi di rapida soluzione. E che la giurisdizione delle Cayman sia in salute lo si nota scorrendo i numeri che fissano l’istantanea dei patrimoni gestiti dalle 196 banche registrate sul suo territorio, in totale quasi 1500 miliardi di dollari. Tanto, poco, difficile trovare la quadra in questi luoghi, mentre è molto facile perderla, basti pensare che gli abitanti, i residenti all’interno sulle isole Cayman sono 55mila, mentre le controllate e le società sussidiarie delle grandi aziende estere sono all’incirca 100mila. Come dire che alle Cayman si nasce e si vive come imprenditori.
I numeri del grande capitale, 11 mila fondi d’investimento – Tempo fa alcuni esperti intervistati dalla BBC spiegavano agli ascoltatori che i paradisi fiscali spesso non si scelgono per questioni meramente fiscali, cioè minori imposte o tasse, quanto piuttosto per beneficiare di sistemi regolativi, di norme e di procedure eccezionalmente riservate e scarsamente intrusive. È questa sorta di schermo quasi-totale che rende attraenti giurisdizioni come le Isole Cayman. La prova di questa affermazione si troverebbe proprio nella alta concentrazione di fondi di investimento soprattutto di hedge-fund, che oramai hanno raggiunto un mercato che si appresta a scavalcare la soglia di 11mila entità. Si tratta di veri e propri bancomat della finanza che si nutrono di denaro per riprodurlo con l’aggiunta di qualche zero in coda, anche se spesso il rischio è elevato e si va incontro alle bolle speculative finanziarie con i risvolti che queste hanno sui mercati reali, dei consumatori, di chi lavora, dei cittadini e degli Stati.
Trust, assicurazioni e altro – Ad ogni modo, le Isole Cayman non sono il paradiso esclusivo di multinazionali e fondi d’investimento. Infatti, oltre alle banche, 196 per l’esattezza, vi operano e sono quindi regolarmente registrati ben 144 trust e 40 società di assicurazioni. Anche in questo caso la regola che vale è quella relativa alla quasi totale garanzia di discrezionalità che, a sua volta, consente a queste entità di mettere in pratica operazioni che naturalmente culminano spesso con perdite nette di gettito per i Paesi d’origine.
Fenomeno offshore – Negli ultimi anni Ocse, Unione europea e Stati Uniti hanno compiuto passi avanti significativi sulla strada di una maggiore trasparenza, uno scambio dati più intenso, continuo e orami quasi automatico. Nonostante tutto, osservando i dati del pianeta offshore il dato che balza agli occhi e che rimane scolpito è che, nonostante l’impegno profuso e gli sforzi fatti, i paradisi fiscali non conoscono, o almeno non sembrano conoscere crisi, tant’è vero che ad oggi la stima maggiormente considerata attendibile indica in 21mila miliardi di dollari i patrimoni alloggiati e gestiti tramite i centri offshore. È una cifra monster, difficile da spiegare anche perché la crisi finanziairia globale, durata anni, non sembra averla per nulla intaccata se non rafforzata. Un tesoro che varrebbe, se assemblato, quanto prodotto annualmente dagli Usa e dal Giappone, due economie che sono, di fatto, due portaerei dell’economia globale.