aumentate, tasse disperazione“L’intenzione del Governo di non far scattare le clausole di salvaguardia nel 2016, eventualita’ che comporterebbe aumenti di tributi per oltre 70 miliardi di euro complessivi nel triennio, di cui 54 dovuti all’aumento delle aliquote Iva, va nella giusta direzione, quella da sempre indicata da Confcommercio”. “C’e’, dunque, piena consapevolezza che maggiori tasse implicano minore crescita, la merce piu’ preziosa per restituire un po’ di benessere alle famiglie italiane e per ridurre l’area della poverta’ assoluta, ormai estesa a oltre 6 milioni di cittadini”.

 

“E’, pero’, necessario – prosegue Confcommercio – che la maggior parte delle risorse utili a disinnescare tale meccanismo provengano dal taglio immediato di sprechi e inefficienze nella spesa pubblica, destinando eventuali e probabili risparmi sul costo del debito alla riduzione generalizzata della pressione fiscale su famiglie e imprese. Questo – conclude Confcommercio – contribuirebbe a rafforzare le tendenze di ripresa dei consumi e dell’economia nel complesso che si stanno manifestando ancora troppo debolmente”.

 

Intanto, però, gli atteggiamenti degli italiani nei confronti delle tasse e della spesa pubblica sono da sempre fortemente ambivalenti: vorrebbero pagare meno tasse e mantenere gratuiti i principali servizi pubblici. Tuttavia, posti di fronte alla scelta secca, la quota di coloro che preferirebbero pagare meno tasse anche a costo di pagare di più i Il costo del servizi Uno su due preferirebbe meno pressione fiscale e pagare i servizi pubblici principali servizi pubblici (50%) prevale su quella di coloro che preferirebbero avere servizi pubblici meno cari anche a costo di pagare più tasse (37%).

 

Non stupisce quindi che, a fronte di una sostanziale stabilità della pressione fiscale registrata dall’stat nel zoi4 (43,5% cioè 0,1% in più rispetto al 2013), quattro italiani su cinque ritengano che le tasse siano aumentate e solo i.118% che siano rimaste invariate. Uno su cento ritiene che siano diminuite. Una decina d’anni fa le due opinioni erano sostanzialmente equivalenti, a conferma del fatto che il fisco, dal conclamarsi della crisi economica in poi, rappresenta sempre di più un aspetto critico nella vita dei cittadini, molti dei quali sono stati chiamati a fare importanti sacrifici e giudicano eccessivo il carico fiscale. La percezione di aumento delle tasse prevale tra tutti gli elettorati, in misura più accentuata tra quelli dei partiti dell’opposizione, in particolare i leghisti (97%).

 

E risulta particolarmente avvertita tra le persone meno istruite, gli operai, coloro che hanno un lavoro esecutivo e le casalinghe. Come si spiega il notevole divario tra la stabilità registrata dall’Istat e la percezione di aumento largamente diffusa tra i cittadini? La materia fiscale è piuttosto complessa e non tutti hanno la capacità di approfondire il tema, di farsi un’opinione basandosi su dati reali.

 

Ad esempio, la riduzione del 10% dell’Irap riguarda le aziende e non ha un impatto diretto sulla vita dei cittadini; il bonus mensile degli 8o euro indipendentemente da come venga considerato (una riduzione fiscale o un aumento della spesa) e dal considerevole numero di cittadini beneficiari, sembra aver determinato un «dividendo» elettorale alle elezioni europee ma non un «ritorno» in termini di opinione; e infine le tasse e le imposte sulla casa obbligano i cittadini a districarsi in un groviglio di sigle sempre diverse (dietro cui si paventano nuovi aumenti che compensano le eventuali riduzioni, lasciando la sgradevole sensazione di esser presi in giro), talora in situazioni di incertezza riguardo agli importi e alle scadenze. Proprio per questo il fisco è un tema fortemente «cavalcato» politicamente. Si usano toni forti, nel tentativo di aumentare il consenso facendo leva sull’insoddisfazione dei cittadini rispetto alla propria situazione economica e all’esasperazione riguardo agli sprechi. Ci sono espressioni entrate nel gergo quotidiano, per esempio «mettere le mani nelle tasche dei cittadini», che accentuano l’immagine di un fisco rapace e fanno dimenticare il valore della fiscalità nel paese.

 

Quando il ministro dell’economia Padoa Schioppa disse provocatoriamente «Le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili» si attirò critiche feroci. Indubbiamente la percezione dell’inasprimento fiscale è da collegare anche all’aspettativa che il governo Renzi operasse una forte riduzione delle tasse: tre italiani su quattro (73%) si aspettavano interventi più consistenti rispetto a quelli adottati mentre uno su cinque (21%) è di parere opposto e ritiene che non fosse possibile fare di più tenuto conto della situazione dei nostri conti pubblici.

 

Le aspettative più elevate si registrano tra gli elettori dei partiti di opposizione, tra i lavoratori autonomi, gli operati e i disoccupati. Quali sono le voci di spesa che gli italiani taglierebbero prioritariamente a fronte di una riduzione della pressione fiscale? Volutamente nel sondaggio non abbiamo considerato i costi della politica, per evitare risposte prevedibili.

 

Nella graduatoria prevale nettamente la richiesta di tagli nel pubblico impiego (51%) ed è una risposta che non sorprende affatto, tenuto conto dei giudizi negativi che investono i dipendenti pubblici, in larga misura considerati improduttivi. A seguire le spese per la difesa (31%), quindi sanità (16%), pensioni (15%), infrastrutture e trasporti (u%) e, più staccati, arte e cultura (8%), scuola (6%), ambiente (4%) e ricerca scientifica (4%).