Se la merce non giunge a destinazione e non è possibile stabilire il luogo in cui l’irregolarità si è verificata, la riscossione del tributo compete, invece, allo Stato di partenza.
Con la sentenza 5391/2015, la Cassazione si è pronunciata nell’ambito di una controversia in materia di irregolare immissione in consumo di prodotti alcolici in sospensione di accisa.
Oggetto della controversia era, in particolare, un invito al pagamento di somme a titolo di accisa sugli spiriti, Iva correlativa, interessi e indennità, notificato dall’Amministrazione doganale ai soggetti ricorrenti in relazione all’asserita non spettanza dell’abbuono di accisa correlato a diverse spedizioni in sospensione d’imposta di alcool etilico a 95°, effettuate in esportazione verso i paesi (allora) extracomunitari dell’Estonia e della Lettonia.
Nell’invito al pagamento si precisava che i documenti doganali T1 annessi alle spedizioni, vincolate al regime del transito comunitario esterno, indicavano quale paese di uscita la Germania, la cui dogana (Kiel) aveva però comunicato che i timbri apposti sugli esemplari di ritorno erano falsi; secondo l’invito al pagamento, pertanto, il mancato appuramento delle operazioni di esportazione derivante dalle suddette irregolarità aveva determinato l’irregolarità, a sua volta, della circolazione della merce in sospensione di accisa, merce per la quale non era stato possibile, nella sua maggior parte, stabilire il luogo di immissione al consumo.
Secondo i destinatari dell’invito al pagamento, la pretesa impositiva avrebbe dovuto considerarsi infondata – e, di conseguenza, sussistente il diritto all’abbuono – dal momento che la merce era stata ceduta franco stabilimento (clausola EXW) al rappresentante delle società estere cessionarie ed era stata sottratta da terzi estranei in Germania.
Al riguardo, la Cassazione ha preliminarmente rilevato – in via generale – che, nell’ipotesi in cui i beni in sospensione di accisa non siano giunti a destinazione e si sia verificata una irregolarità o infrazione (come nella specie), la disciplina applicabile è diversa a seconda che sia stato accertato o no il luogo dell’irregolarità o dell’infrazione.
Nel primo caso, la riscossione dell’accisa compete allo Stato nel cui territorio è stata commessa l’irregolarità o l’infrazione, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, della direttiva n. 92/12/Cee del 25 febbraio 1992, e dell’articolo 2, comma 2, lettera b), del Testo unico delle accise (Tua, emanato con decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504).
Nel secondo caso – quando, cioè, non sia possibile accertare il luogo in cui l’irregolarità o l’infrazione si è verificata e i beni non siano giunti a destinazione – la riscossione dell’accisa compete, invece, allo Stato di partenza, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 3, della citata direttiva n. 92/12/Cee (in tal senso, vedi la sentenza n. 11220 del 20 maggio 2011).
Ne consegue che, nell’ambito di questo quadro normativo, la riscossione dell’accisa compete: a) alla Germania, ove sia accertato che in tale Stato si è verificata l’irregolarità o l’infrazione; b) all’Italia (Stato di partenza delle merci non giunte a destinazione), ove non sia possibile stabilire il luogo in cui l’irregolarità o l’infrazione si è verificata.
Come si è sopra riferito, i ricorrenti riconoscono applicabile, nella specie, la disciplina della circolazione dei beni in sospensione di accisa e affermano che, sempre nella specie, è pacifica la circostanza che l’irregolarità (consistita nella rottura dei sigilli, nell’asportazione della merce e nella utilizzazione di timbri falsi) nella circolazione dei beni in sospensione di accisa (beni mai giunti nella dogana di uscita di Kiel, cioè nella destinazione indicata dalla società ricorrente, titolare del deposito fiscale) si è verificata in Germania. Tuttavia – osservano i giudici di legittimità – contrariamente a quanto affermato nel ricorso, la circostanza non è affatto pacifica né per l’Agenzia delle dogane né, soprattutto, per la commissione tributaria regionale, la quale muove, invece, dal diverso assunto che non è stato accertato il luogo in cui è stata commessa l’irregolarità e che, quindi, non può identificarsi il luogo in cui si presumono immessi in consumo i beni non pervenuti a destinazione.
Secondo la Cassazione, appare pertanto evidente che i ricorrenti, da un lato, attribuiscono alla sentenza di merito impugnata un contenuto che essa non ha (cioè l’inesistente affermazione che l’irregolarità nella circolazione dei beni si è verificata in Germania); dall’altro, pur accennando alla “illogicità” di una diversa ricostruzione dei fatti, basata sull’impossibilità di individuare il luogo in cui si è verificata l’irregolarità o l’infrazione, si limitano a dedurre una violazione di legge, senza prospettare alcun vizio motivazionale della sentenza impugnata (che, invece, si è basata proprio su tale impossibilità di individuare il luogo dell’irregolarità o dell’infrazione).
Sulla base di tali premesse, la Cassazione ha concluso nel senso di ritenere inammissibile il motivo di ricorso, sia perché i ricorrenti non hanno colto il tenore effettivo della sentenza, sia perché hanno adombrato (anche) un vizio motivazionale, pur denunciando (solo) una violazione di legge.